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"Loro ci registrano". La truffa sui bonus edilizi a Messina, il "sistema Barbera" e quelle intercettazioni...

Antonino Barbera che, sfruttando il rapporto di fiducia che aveva con i suoi pazienti, prospettava loro la possibilità di ottenere i contributi statali

«Raffinati meccanismi fraudolenti» adoperati dagli indagati, per un «metodo che si è ripetuto decine di volte», a vantaggio del «parenti del cerchio magico», in un «sistema molto sofisticato e articolato». Così la procuratrice vicaria Rosa Raffa ha definito il "sistema Barbera" rafforzando quanto messo in evidenza dal procuratore di Messina Antonio D’Amato sull’importanza delle intercettazioni telefoniche per le indagini e sulla necessità di risolvere il problema della scopertura di organico della procura di Messina.

Il medico, il cugino commercialista e i 51 pazienti truffati. Che andavano al suo studio professionale per essere visitati e curati e invece si ritrovavano a loro insaputa con il cassetto fiscale pieno di soldi per il Superbonus, il famigerato 110% con cui si sono ristrutturate ville, palazzi e case popolari in ogni angolo di strada. Il 110% che dopo la pandemia, nelle sue varie trasformazioni amministrative, ha imperversato in tutta Italia. Tutto questo ha prodotto un giro impressionante di denaro per lavori mai eseguiti, che secondo Procura e Finanza è stato intascato dal medico e dal suo «cerchio magico». Basti pensare che c’è in corso un sequestro preventivo “per equivalente” di ben 37 milioni di euro.
E quando i primi anziani pazienti sono stati interrogati dalla Guardia di Finanza, che nel frattempo aveva scoperto tutto grazie ad una denuncia, e sono tornati dal professionista per chiedere spiegazioni, la risposta del dottore è stata lapidaria: ma quando mai, sono loro che sbagliano, sto preparando una class action per contestare tutto. Nel frattempo il medico s’era fatto consegnare dai pazienti ignari di tutto lo Spid, l’identità digitale, e programmava ristrutturazioni inesistenti per conto loro, incassando fiumi di denaro. È impressionante il numero dei capi d’imputazione scalettato nell’ordinanza di custodia, per comprendere quanto era vasto il giro di truffe organizzate: sono ben 225. Impressionante. Tra il 2021 e il 2022.
È questo il quadro dell’ordinanza di custodia cautelare che ieri mattina è stata eseguita dalla Guardia di Finanza. L’ha siglata la gip Ornella Pastore. L’atto finale delle indagini che sono state coordinate dal sostituto Giuseppe Adornato e dal procuratore Antonio D’Amato.

Gli indagati

Sono sei le misure restrittive, una in carcere e cinque agli arresti domiciliari. Il medico di base considerato dagli inquirenti a capo di una vera e propria associazione a delinquere è il 72enne Antonino Barbera. Solo per lui è stato deciso il carcere, tutti gli altri si trovano agli arresti domiciliari. E per Barbera la gip Pastore parla di “perseveranza criminale straordinaria”. Poi tra gli indagati c’è il commercialista romano 63enne Roberto Pisa, considerato uomo di fiducia di Barbera, di cui è cugino. Quindi il cosiddetto «cerchio magico» del medico, ovvero i parenti: la moglie 68enne del medico, Felicia De Salvo; la sorella 67enne del medico, Domenica Barbera; il figlio del medico, il 44enne Nicola Barbera; e infine la nuora del medico e moglie del figlio, la 43enne Silvia Lo Giudice.

Le 4 società

Ci sono poi coinvolte quattro società create dal gruppo per gestire questa mole di denaro: la Barolbed srl e la Safinservice srl, di cui era amministratore unico Antonino Barbera; e poi la Panconsul srl e la Euconsul srl, di cui era amministratore unico la moglie del medico, Felicia De Salvo.

I reati contestati

Per gli indagati, a vario titolo, la Procura ipotizza l’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di truffe per ottenere erogazioni pubbliche, una serie di accessi abusivi al sistema informatico, e poi indebite compensazioni di debiti fiscali, infine l’autoriciclaggio.
Il meccanismo Gli indagati - spiega la Finanza - hanno lucrato sui benefici fiscali introdotti dal dl 34 del 2020, il cosiddetto decreto “Rilancio” e dalle successive integrazioni. Tutto ha avuto origine dalla denuncia di un ignaro paziente del medico, che l’8 febbraio del 2022 ha ricevuto una telefonata da un funzionario dell’Agenzia delle Entrate, che gli ha comunicato che nel suo cassetto fiscale vantava crediti d’imposta per ben 1,3 milioni di euro, riconducibili a lavori di ristrutturazione edilizia mai eseguiti. Crediti che lui risultava aver ceduto a terzi. Ovviamente l’ignaro paziente del medico saltò sulla sedia, perché non ne sapeva nulla di quel milione di euro e rotti che “possedeva”.

L’indagine

Da lì è cominciato tutto. Da quella telefonata. E sulla base dei primi accertamenti, i finanzieri hanno scoperto agevolazioni fiscali sul Superbonus 110%, che risultavano cedute a una società, tramite la piattaforma Cessione crediti dell’Agenzia delle Entrate, che aveva ad oggetto la locazione di beni immobili, poi risultata del tutto priva di personale e strutture. I successivi accertamenti bancari e un numero cospicuo di perquisizioni hanno consentito di ricostruire ulteriori crediti, che erano stati inseriti nei sistemi informatici da un unico soggetto e ceduti da privati, sempre alle medesime società messinesi riconducibili a persone facenti parte della stessa famiglia. Un gran passo avanti è stato fatto poi dagli investigatori della Finanza con le intercettazioni telefoniche.

Il “metodo Barbera”

L’attività ruotava intorno al dott. Antonino Barbera, medico di base a Messina, che sfruttando il rapporto di fiducia che aveva con i suoi pazienti, prospettava loro la possibilità di ottenere i contributi statali Ecobonus e Superbonus, per ristrutturare immobili di loro proprietà. Così invitava i pazienti a rilasciargli le credenziali Spid, in modo da accedere, da remoto, al loro cassetto fiscale. I crediti fittizi così creati venivano poi ceduti ad altri soggetti, tra cui le quattro società riferibili al medico e a suoi parenti, per consentirne la monetizzazione, ovvero la compensazione fiscale con debiti reali.

«Loro ci registrano...»

Quando l’inchiesta era già ad un punto di svolta - spiega la gip Pastore nella sua ordinanza -, il dott. Barbera temeva di essere intercettato (“loro ci registrano e sanno che noi stiamo parlando esclusivamente di quelle gran persone oneste e civile e timorati di Dio che siamo”). Lasciava intendere che avrebbe addirittura reagito in quanto vittima di un non ben precisato illecito, che meritava denunce in ben cinque procure tra Reggio Calabria, Catanzaro, Catania, Palermo e Caltanissetta. Ma è finita diversamente.

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