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L'uomo morto a Spadafora, il video del fermo dei carabinieri. La famiglia non si rassegna

Un video che ritrae Enrico Lombardo a terra. E' stato appena fermato dai carabinieri la notte del 27 ottobre del 2019, è ferito alla testa. Ci sono tre carabinieri attorno a lui, un altro va e viene con in mano quello che sembra del ghiaccio, appoggiato sulla testa. Poi qualcosa accade, i carabinieri sferrano dei calci con l'uomo a terra. Il video - pubblicato dalla moglie di Lombardo sulla pagina "Giustizia per Enrico Lombardo" - è agli atti del procedimento concluso con l'archiviazione nei giorni scorsi. Quei calci e l'immobilizzazione non sono la causa della morte.

Ma la signora Alessandra Galeani, moglie di Enrico Lombardo, non si rassegna. Il gip è stato chiaro: non ci sono elementi per andare avanti nei confronti dei carabinieri e dei medici del 118 che intervennero quella sera, mentre l’uomo era in forte stato d’agitazione a terra, accanto al marciapiede.
Enrico Lombardo morì a Spadafora il 27 ottobre del 2019 nei pressi di via Maniscalco durante fasi molto concitate intorno alle due del mattino, sotto casa della ex compagna, dopo essere stato immobilizzato da alcuni carabinieri. L’inchiesta aperta in Procura sul caso vedeva indagati tre sanitari e un carabiniere: il militare che immobilizzò l’uomo quella notte doveva rispondere di morte come conseguenza di altro delitto, e poi ad un medico e due soccorritori del 118 veniva contestato l’omicidio colposo. La Procura per due volte ha chiesto l’archiviazione del caso, e per altrettante volte i familiari si sono opposti. La seconda volta il gip ha dato ragione alla Procura, rigettando l’opposizione presentata dai familiari.

La moglie vuole andare in qualche modo avanti in questa storia: «Non mi rassegno all’archiviazione perché ci sono validi elementi che vanno approfonditi - dice -, e perché vedendo il corpo di Enrico ho capito sin da subito che non si trattava di una morte naturale».
Secondo la Galeani ci sono anche degli aspetti non chiariti fino in fondo dalle indagini, le prime e poi quelle suppletive decise dal gip: «I punti oscuri della vicenda sono tanti, posso dire del manganello sequestrato la notte della morte di Enrico, per le tracce ematiche non vi è stata nessuna comparazione con le altre presenti. Un teste nominato in una registrazione da me effettuata non è stato sentito ed era molto importante sentirlo, in quanto avrebbe parlato con i carabinieri mentre li ha visti lavare il sangue a terra, questo è quello che è trascritto in una delle conversazioni redatte dal fonico. Un altro teste non è stato sentito perché non è incensurato, motivo che mi lascia molto da pensare, visti i tanti processi avvenuti in Italia con i pentiti ad accusare la gente e presi in considerazione. I telefoni andavano periziati, visto che si parla in tre conversazioni da me registrate che c’è stato un video cancellato, ma nessun accertamento è stato svolto sui cellulari, e poi il telefono dello stesso Enrico, dove si evince dalle dichiarazioni rese durante l’interrogatorio in Procura che avesse registrato l’episodio».

La signora Galeani vuole andare in ogni caso avanti sul piano giudiziario: «Il ricorso per Cassazione un atto dovuto, ci sono elementi importanti in errori di valutazione e di illogicità motivazionali, per i quali siamo certi nell’accoglimento e nella riapertura del caso. Nel frattempo anche i legali stanno svolgendo indagini difensive, utili ad un adeguato prosieguo processuale».
Un’ultima cosa: «Nessuno delle istituzioni - dice ancora -, mi ha contattata, nemmeno la notte della morte di Enrico, insieme a tutta la famiglia siamo stati avvertiti da conoscenti l’indomani mattina alle 8. Ovviamente - conclude -, ci sentiamo vittime di un’ingiustizia io e tutti i familiari, in particolare mia figlia. Dobbiamo far sì che le figure giovani non perdano fiducia nelle istituzioni, nella legalità e nella giustizia, che oggi è “morta” per mano della legge».
In questa vicenda è stato sempre accanto a lei l’avvocato Piero Pollicino: «Sicuramente la parola fine non è stata ancora scritta - afferma il legale -. Cercheremo ulteriori elementi per chiedere la riapertura delle indagini, anche perché i risultati della attività investigativa non ci soddisfano. Ad oggi non è dato sapere a chi appartiene il sangue rinvenuto dai Ris sul tonfa dei carabinieri. Senza tralasciare gli altri elementi, nessuno può obiettare che la visione delle immagini confermano, senza alcuna ombra di dubbio, la necessità di verificare le condotte tenute dai soggetti intervenuti durante i fatti».

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