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Francesco e il sogno di un Museo dei trasporti a Messina

Collezionista di bus e mezzi pesanti d’epoca. Ventisettenne, è rimato a Messina coltivando la passione trasmessa dal nonno e dal padre

«Al momento la gratificazione supera gli investimenti ma speriamo che arrivi un mano dalla pubblica amministrazione o da chiunque condivida le nostre idee. E ci fa piacere in qualche modo rendere omaggio alla figura di papà che neanche troppo indirettamente ha creato tutto questo. Il progetto più bello? Aver partecipato ad un film importante. Ma per ora non posso, ahimè, dire altro». La forza della sua storia sta in quello che colleziona e nella voglia irrefrenabile di fare qualcosa per la sua terra: convinto che bisogna restare per costruire opportunità di crescita. È la storia di Francesco Fiumanò.
«Sono un ragazzo quasi ventisettenne innamorato della propria città – così si racconta Francesco – che coltiva una passione di famiglia sicuramente inusuale: collezionare mezzi pesanti. Una vera rarità in Italia, una perla rara in Sicilia, considerando che siamo gli unici. Ma tutto non è nato per caso. Fin da piccolo sono stato a stretto contatto con i mezzi di trasporto. Nonno è ferroviere, papà Giovanni, invece, per una vita ha lavorato sui mezzi dell'Atm, e io attirato dal suo mondo, ho cominciato a 17 anni, assieme a mio fratello Marco, ad acquistare, scovare, è il caso di dirlo, e a sistemare i primi mezzi. Anche quelli che ci venivano donati. E una volta fatti tornare in vita si è dato il via a mostre itineranti, film e matrimoni». A casa Fiumanò, però, man mano tutti hanno cominciato ad appassionarsi alla causa di sistemare i mezzi d'epoca per fare cultura. Perfino papà Giovanni scomparso pochi giorni prima di andare in pensione: « I nostri genitori , compreso nostro padre, ci hanno appoggiato pienamente – continua – perché cercare il mezzo significava spesso andare fuori dalla Sicilia. E pensate che il mezzo più particolare che ho preso il lancia Esatau Casaro tubocar era usato come ricovero per cacciatori di montagna. Quindi per prenderlo e rimetterlo su strada ho dovuto usare una gru. E non mancano episodi che si attaccano alla storia perché questo mezzo è stato donato dall'azienda del trasporto pubblico di Genova ad un club di cacciatori che aveva chiesto in tv direttamente a Tortora un posto per riunirsi. E proprio il celebre giornalista fu l’autore del regalo. Volevano demolirlo per impatto ambientale e alla fine mi sono mobilitato io da Messina per recuperarlo. E spero di rimetterlo presto su strada e utilizzarlo come gli altri».
Oggi Francesco tra bus, camion e furgoni custodisce ben 25 “gingilli” che utilizza come contenitori culturali. «Senza dubbio – afferma Francesco – i sacrifici per andare avanti ci sono. Forse più di tutti ha pesato la mancanza di spazi. Infatti, sarebbe stato un sogno per noi avere un luogo dove creare un vero e proprio Museo dei trasporti che sarebbe una novità assoluta per Messina». E in realtà, il sogno potrebbe ancora realizzarsi, basta ricordare lo stupore accesosi negli occhi dei messinesi e dei turisti che lo scorso Natale hanno potuto ammirare, camminando per le vie pedonali, le “opere artistiche” su gomma addobbate a festa. «Il mio sogno – insiste Francesco – è anche quello di creare un Museo in movimento. Secondo me il mezzo d'epoca deve essere un contenitore viaggiante, cioè deve portare qualcosa: penso ad esempio ad un artista che non sa dove esporre i suoi quadri e che potrebbe sfruttare il bus. Ma questa non è l' unica idea che mi frulla in mente, perché i mezzi potrebbero diventare essi stessi luoghi dove ci si incontra per prendere un aperitivo con vista Stretto. I “bar-bus” altrove, soprattutto quelli a due piani, sono realtà. E per questo mi rendo conto che non stiamo parlando di qualcosa di irrealizzabile. E poi potrebbero anche portare i croceristi, in giro a godere delle tante bellezze artistiche che possediamo.
I buoni propositi certo non mancano: «Avevo la possibilità di andare via ma mi sono intestato una vera “mission”: svegliare la nostra Messina dal torpore e spezzare la monotonia a cui vorrei che non ci si abituasse».

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