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"Oscuramente forte fu la vita". Il legame di Quasimodo con Messina

Bambino in baracca, studente allo Jaci, poi traduttore, scrittore, poeta e premio Nobel. Grazie anche allo Stretto. Salvatore Quasimodo e Messina: un legame che non è mai stato interrotto

C’era idealmente anche Messina il 10 dicembre del 1959, quando a Stoccolma il re Adolfo di Svezia consegnava il premio Nobel per la letteratura al poeta Salvatore Quasimodo.

Nel Quartiere Americano

“Per la sua poetica lirica, che con ardente classicità esprime le tragiche esperienze della vita dei nostri tempi” recitava la motivazione dell’Accademia. E c’era la città, ancora fumante di strazio, fissata nei versi del poeta “Dove sull’acque viola era Messina, tra fili spezzati e macerie… Il terremoto ribolle da due giorni, è dicembre d’uragani e mare avvelenato”. Qui Salvatore era arrivato con la famiglia, al seguito del padre incaricato di ricostruire la locale stazione ferroviaria, vivendo in un carro merci ancorato in un binario morto. «Alloggiammo per un po’ in un carro ferroviario, dopo in una baracca di legno e finalmente nella casetta di cemento armato di via Croce Rossa, 81, nel Quartiere Americano», ricordava la sorella. Era gennaio del 1909 e Salvatore aveva 8 anni, fissato in vecchia foto: «È uno dei ricordi della mia infanzia che maggiormente mi commuovono. Siamo a Messina, nel 1909 o 1910. La casa o meglio “la baracca”, che si scorge sul fondo, è l’abitazione di mio padre, funzionario delle ferrovie statali. È il paesaggio a cui, in un certo senso, è ancorata la mia memoria: il profumo acre dei limoni, il cielo altissimo e azzurro, il vento che viene dal mare».

Dal diploma ad una felice stagione culturale

Nel Nobel e nella lunga strada fatta per arrivarci, c’era Messina: qui, la famiglia Quasimodo, composta dal padre Gaetano, la madre Clotilde, la sorella Rosa e il fratelli Ettore ed Enzo, originaria di Roccalumera, era arrivata dopo Modica e Gela. A Messina Salvatore si diploma nel 1919 all’Istituto tecnico Jaci, sezione fisico-matematica. Gli anni dello Jaci per il poeta furono spazio di scambi culturali, affinità elettive, circoli, riviste letterarie. «Si parlava di letteratura di poesia di politica – ricordava Pugliatti – da ragazzi, s’intende, quali eravamo. Quasimodo e i suoi compagni di classe avevano 16 anni , io ne avevo 14 e il più piccolo era Giorgio La Pira tredicenne». Serrato il dialogo di quei ragazzi e appassionate le letture, di classici come Dante, Platone o degli autori russi come Dostoievskij o dei poeti francesi come Baudelaire, Mallarmè, Verlaine che, scrisse Pugliatti, «divennero i nostri numi». Con gli amici condivise una felice stagione culturale e opere entusiasmanti come il “Nuovo giornale letterario”, su quale lui pubblicò componimenti accanto a firme come Lionello Fiumi, Filippo De Pisis, Armando Curcio. Il secondo numero del giornale ebbe sede nella casa baracca di Quasimodo.

Le frequentazioni messinesi

«Sono molto occupato- scriveva in una cartolina al suo compagno Raneri – ho aperto il numero 6 del giornale che va estendendo il suo successo fuori Italia… andrò un poco a conoscere i miei amici poeti». Questa dimensione di cenacoli si estenderà nel tempo ad altri luoghi, come la libreria D’Anna, la libreria dell’Ospe. «Tutte le volte che venivo a Messina facevo capo alla libreria dell'Ospe. Qui incontravo Pugliatti, Quasimodo e Vann'Antò. Saitta è riuscito a creare un cenacolo culturale i cui effetti durano ancora», scriveva Giuseppe Longo. Le frequentazioni messinesi gravitavano attorno anche al Premio Vann’Antò (lui fu anche in giuria ) e la mitica Accademia della Scocca. Quegli amici furono determinanti nella condivisione della passione letteraria di Quasimodo. «Ricordo una sera dell’estate del 1917 – scrisse lo stesso Quasimodo –, io stavo seduto con alcuni amici, fra i quali Pugliatti e La Pira, e in uno degli intervalli dell’orchestrina avevo scritto su un pezzo di carta da gelati la composizione futurista», riporterà Miligi. E i compagni furono costanti nel sollecitare Quasimodo alla scrittura anche quando lavorava al Genio civile di Reggio Calabria.

La raccolta "Acque e terre"

Ed ebbe matrice messinese il primo nucleo della raccolta “Acque e terre,” introdotta da Pugliatti. E se il giurista lo accompagnerà in questo cammino letterario, La Pira ne condividerà gli aneliti spirituali e i rivolgimenti esistenziali, attraverso un intenso epistolario: «Salvatore, nostro fratello… che scruta nei profondi dei vicoli, dei bassifondi del mondo, per trarre a luce le supreme altezze» e poi «l'incredibile efficacia del tuo verso sul mio cuore», scriveva La Pira. E Quasimodo: «Eccomi nuovamente al lavoro, bestiale ed inutile, confortato soltanto dal tormento dell'anima. Da te aspetto soltanto un po’ di speranza e la parola dello spirito… Tieniti vicino a me, Giorgio, in questi giorni di maggiore tormento».

Messina e la Sicilia temi della sua topografia poetica

Se Messina e la Sicilia furono parte della sua geografia personale, furono anche temi della sua topografia poetica. Nell’esilio echeggia la Sicilia, “la terra impareggiabile”, in mille versi, come luogo di felicità perduta, del mito, spesso contrapposta alla durezza della condizione presente, ben condensata nelle parole «Io non ho che te, cuore della mia razza», di cui acutamente scrisse Gilberto Finzi: «I due versi in epigrafe a Isola, sono molto più che un segnale intellettuale o un'indicazione di poetica. Per Quasimodo sono l'evidenza di una storia privata che si trasforma in mito e in simbolo… ma (anche) un luogo della storia». E percorreva una strada di passi sempre più grandi sorretta da nuovi cenacoli milanesi. «Quanti amici! Ceniamo insieme e spesso, specie d’estate, a furia di discutere di letteratura, d’arte e di poesia, facciamo le ore piccolissime... Manzù e Martini, il pittore Cantatore, i poeti Gatto e Sinisgalli, lo scrittore Tofanelli» e altri grandi come Fontana, Birolli, Messina, Carrà, Sironi, Sassu, Mafai, Manzù, Migneco, Joppolo, Lattuada, Comencini, Strelher. Quasimodo fu critico teatrale, musicale, d’arte, collaborò con giornali come Omnibus e Tempo. Fu raffinato traduttore, oltre che dei celeberrimi lirici greci, anche dei Carmina di Catullo, di parti dell'Odissea, de “Il fiore delle Georgiche”, del Vangelo secondo Giovanni. E poi l'Edipo re di Sofocle, Ruskin, Shakespeare, Eluard, Cummings, Neruda, Aiken e altri.

L'attività di docente di Letteratura italiana a Milano

Alla multiforme attività di scrittura affiancò quella di docente, ottenne la cattedra di Letteratura italiana al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Il suo lavoro riceveva sempre più conferme anche con riconoscimenti come la laurea honoris conferitagli dall’Università di Oxford e dall’ Università di Messina, il Premi San Babila, Etna-Taormina, Viareggio, fino al Nobel che lo consacrò definitivamente anche in ambito internazionale. E in quel premio erano racchiusi oltre gli amici della “brigata”, l’amata madre a cui dedicò la stupenda poesia Lettera alla madre, pubblicata nel 1949 un anno prima della sua morte a Firenze: «Mater dolcissima… So che non stai bene, che vivi come tutte le madri dei poeti, povera e giusta nella misura d'amore per i figli lontani.. quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto e alcuni versi in tasca.” E c’è il legame con il padre: «La tua pazienza triste, delicata, ci rubò la paura, fu lezione di giorni uniti alla morte» e c’è la città di Messina, che oggi conserva memorie e documenti preziosi nella Galleria provinciale “Lucio Barbera” con l’Archivio Quasimodo e nel Parco letterario “Salvatore Quasimodo” curato dagli avvocati Carlo e Sergio Mastroeni a Roccalumera, radice della famiglia Quasimodo

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