«Sono arrivato nella capitale, Katmandu, un pianeta nuovo, completamente diverso da quello occidentale, povero ma che nasconde moltissime sfaccettature. Poi, mi hanno portato nel famoso aeroporto di Lukla, la porta d'accesso epica all'Everest, ritrovo di tutti gli alpinisti, lì dove davvero assapori aria di altro mondo, con gli sherpa che vivono custodendo i loro monti, che conoscono benissimo e, soprattutto, che non temono l'altezza».
Da Messina alla vetta immensa il passo è stato avventuroso. Igor Fedele, classe 1971, ha una nuova storia da raccontare che si somma alle altre. Come in Tunisia quando è partito in solitaria con la moto o quella volta in cui ha respirato a pieni polmoni il deserto. «Sono un messinese “doc” – racconta con entusiasmo contagioso –, appassionato non solo di vela e surf. Per quasi trent'anni, per professione, mi sono occupato di viaggi e fino allo scorso anno sono stato titolare di un tour operator e il mio pane quotidiano era il turismo naturalistico sportivo. Nasco come guida ambientale escursionista e per più di 15 anni sono stato membro del Soccorso alpino, insomma la mia passione nasce principalmente dal mio lavoro».
In questi anni Igor ha organizzato diverse escursioni, scalato numerose montagne. Il punto più alto? Il Campo Base dell'Everest a quota 5364 m, e la cima accanto, il Kala Patthar, 5.550 metri, dalla quale si ha una visione ancora più bella. In precedenza aveva collezionato tante altre esperienze come il Toubkal , con i suoi 4.167 metri, la vetta più alta della catena montuosa dell'Atlante e di tutto il Nord Africa. Il suo nome significa “vetta da cui si vede tutto”.
L' Everest? Lo definisce più trekking che alpinismo, almeno per il percorso che ha fatto lui: « Non è impossibile – precisa ridendo – anche se è necessario avere un po’ di preparazione. In questa avventura c'erano tutte le fasce d'età. Qualcuno ci è riuscito, qualcun altro ha dovuto mollare. Le difficoltà maggiori sono sicuramente l'altitudine, la pressione dell'aria e la saturazione va costantemente monitorata». Igor ha impegnato tutte le ferie per questa magica avventura, «che bisogna vivere una volta nella vita», e dice grazie alla sua famiglia che lo ha appoggiato sempre. «Sono uno sportivo, ho corso in auto per 10 anni, in moto per trenta. Mettersi in gioco è nel mio dna e mi sono detto che volevo vedere prima di morire la montagna più alta del mondo. Ben 16 anni fa ero stato già in un 'altra parte dell'Himalaya, la parte indiana, e lì ho raggiunto 5400 metri in moto e qualche altro picco a piedi. Questa volta ero solo, come dicevo, avevo una guida nepalese, e il padre era colui che portava bagaglio. Il lungo cammino è durato 15 giorni e il saliscendi per arrivare alla meta è continuo. Gli alloggi dai 4000 in su sono “lodge”, ovvero dei piccoli rifugi molto essenziali in cui non ci sono riscaldamenti, energia elettrica, e di notte la temperatura scende completamente sotto lo zero, anche a meno 13. E anche l'acqua che dovrebbe dissetarti si congela. Un minimo di tepore era presente nella sala comune dove consumavi i pasti. Il letto ovviamente inesistente. La nanna era nel sacco a pelo».
E il messaggio che Igor vuole mandare ai giovani è questo: «Staccarsi dalla vita comune e comoda insegna tanto. La povertà lì è tangibile. Io farei fare questa esperienza a tutti i ragazzi che non si rendono conto di quante cose abbiamo superflue e che spesso si lamentano davvero per nulla». E restano vivide le immagini che scorrono come i titoli coda di un film. Prima del congedo: «Ciò che ti colpisce di più – afferma – è ovviamente l'immensità di questi luoghi, di queste montagne. Panorami mozzafiato e vette giganti delle quali carpivi la grandezza solo quando vedevi passare quegli elicotteri che a confronto sembravano piccoli insetti. . C’è stato un mio collega dell'agenzia “Adventure 6.000”, che è un grande alpinista, il quale mi ha raccontato la sua storia. Ma, scorrendo i fotogrammi, ciò che ti colpisce maggiormente sono gli incontri con questo popolo. E con i più piccoli. I bambini che vivono le loro vite a un'altezza incredibile. E vederli uscire da scuola vivi, allegri, con il sorriso sulle labbra e senza cellulari, videogame e tablet accende vita. Li vedi girare, divertirsi, giocare e lavarsi fuori. Ma ciò che sorprende è l'animo di queste persone. I volti regalano sorrisi e parole necessarie, e tutti sono pronti a tendere una mano. Sono tutto molto disponibili e attaccati alle loro tradizioni. Un ragazzo – conclude Igor – mi ha agganciato provando a vendermi qualcosa ma poi mi ha raccontato la sua storia e mi ha portato a fare una passeggiata nel centro storico. E sono stati momenti che ricorderò per sempre».
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