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Com'era bello il Carnevale messinese tra "ciuri di pipi" e stufato

Era il 1970 e in scena andò sfilata di Carnevale lungo il viale San Martino

Tempo di Carnevale, anche a Messina, tra riti antichi e sapori da riscoprire, nel segno dell’antica maschera di Peppe Nappa. Intanto, una curiosità. Per un voto fatto dai messinesi dopo il terremoto del 5 febbraio 1783, rinnovato per altri cento anni dopo quello del 1845, non bisognava pensare al Carnevale prima del 5 febbraio, nell’immaginario comune giorno infausto.
Questo ricordava Giovanni Valentino sulla “Gazzetta” del 4 febbraio 1930, e aggiungeva: “A Messina, la maschera più caratteristica, e popolarissima, è il Ciuri di pipi”. Portavano, i Ciuri di pipi, calzoni bianchi e un camice anch’esso bianco stretto in vita da una larga fascia sempre bianca. Ancora bianco il copricapo con lunghi nastri rossi pendenti. Erano poeti improvvisatori, passavano di bottega in bottega tessendo in versi le lodi dei padroni anche in modo pungente. Ricevevano in cambio applausi e doni.
Ora alcune pagine di storia. Nella stampa d’epoca - raccolta dallo studioso Giuseppe Quartarone in “Quotidiano a Messina” - abbiamo individuato, per l’anno 1876, alcune iniziative promosse dal Comitato organizzatore cittadino, che prevedevano un “corso di fantini”, un “corso di maschere”, la tombola, con “grande illuminazione e veglione”, e anche una “festa popolare sotto i portici del Palazzo di Città”, compresa una curiosa “festa cinese e rogo di Carnevale”, che prevedeva l’uso di lanterne. Non mancavano i celebri “palloni di Rappazzo”, festosi palloni areostatici, e anche le maschere di Mata e Grifone proposte dal Gabinetto di Lettura, “molto applaudite”.
Il Carnevale a tavola secondo tradizione. Tanta, tanta salsiccia, l’ineguagliabile salsiccia messinese, grassa al punto giusto, con i semi di finocchietto e la provola di Montalbano. La preparava ad arte il macellaio Spadaro, sito presso il Quartiere Lombardo. Come ci ricorda l’antropologo Niola, fin dal Medioevo il maiale “regna sul carnevale”, fortemente legato alla figura di S. Antonio Abate. La salsiccia va cucinata in vari modi (fritta con patate, al forno, alla brace…), e specialmente a stufato. In poco olio e sale friggere, ma non troppo, la salsiccia. La si fa quindi cuocere, a fuoco moderato, in un tegame con dell’olio fresco e spicchi d’aglio interi e sgusciati. Rosolato l’aglio si versa nel tegame del vino rosso, svaporato al quale s’aggiungono la passata di pomodoro con un po’ d’acqua e un pizzico di pepe. Si lascia cuocere fino ad ottenere, del sugo, la giusta densità. Col sugo vanno conditi ben bene scolati gli ziti, ovvero, per i messinesi, “a pasta i Cannaluari”. Ancora, fino a qualche tempo fa si usava gustare il sanguinaccio: sangue di maiale, insaccato nel budello come un salame, con dello strutto e, se si vuole, con del cervello. Si friggeva tagliato a fette. Quanto ai dolci, prima dell’avvento delle chiacchere, curiosi i “diti di Carnevale”, saporiti dolcetti fatti in casa, con farina, miele, strutto, cannella. Gustossimi dolcetti che venivano inzuccherati dalle massaie, per la gioia di grandi e piccini. Sapori ormai scomparsi. Il dolce carnevalesco peloritano era sicuramente la pignolata, che nei tempi passati si vedeva in pasticceria solo a Carnevale. Una storia brillantemente evocata da Sergio Di Giacomo nel suo invitante volume “Dolce Messina”.

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