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Messina, Dario Pandolfo: un giovane grande chef dal cuore d’oro

Il cuoco si è distinto nel periodo della pandemia per aver cucinato per tanti bisognosi creando una rete di solidarietà va avanti con umiltà

Partire per poi tornare. Dario Pandolfo, classe 1991, i bagagli li ha fatti molto presto. Prima per studiare, e poi per carpire i trucchi del mestiere. E con grande umiltà sussurra: «Se avessi la possibilità di fare qualche stage mi fionderei senza tentennamenti perché non bisogna sentirsi mai arrivati».
La “mission” ambientalista è nata naturalmente e la lotta allo spreco alimentare secondo lui dovrebbe essere insegnata a tutti. E stupisce la provocazione culinaria nata dopo una mareggiata alla Baia del Tono lanciata con “Un mare di plastica”, entrèe di gustosa complessità fatto con pelle di latte essiccata, burro montato e colatura di alici. Uno shock al palato che incuriosisce e che richiama un percorso. Assai variegato. «Sono milazzese doc – ha raccontato il giovane Pandolfo – e la passione per la cucina nasce da piccolino. Mio zio infatti ha una trattoria a gestione familiare e con i miei l'ho sempre frequentata. Anzi, da quando avevo 5 anni giravo in cucina perché ero sempre interessato a vedere cosa succedeva tra i fornelli. E già a 8-9 anni ero lì operativo a tagliare pomodorini e a friggere patatine. Quindi non ho mai avuto ripensamenti su cosa volessi fare da grande».
Finite le medie studi alberghieri a Locri: «L'esperienza è stata tosta perché ho lasciato casa per andare a vivere in un convitto, ma conservo un bellissimo ricordo. Dopo il quinquennio però non mi sentivo pronto come professionista, nonostante mi dessi già da fare, e sentivo che volevo fare qualcosa in più e così ho completato la mia formazione all'Alma che allora era diretta da Gualtiero Marchesi. Sei mesi di studio e sei mesi di stage a Modena nel ristorante stellato dello chef Luca Marchini, "L'erba del re", che mi ha proposto una volta terminato lo stage di lavorare con lui».
Da Modena a Bolzano il passo è stato produttivo perché qui il volenteroso professionista conosce colui che considera il suo maestro: Norbert Niederkofler, all'epoca chef con due stelle: «Volevo sapere cosa pensasse dei miei piatti e ogni tanto considerando che aveva l'ufficio proprio di fronte al locale dove lavoravo gli facevo assaggiare qualcosa. Un giorno, poi, mi presi di coraggio e gli chiesi se potessi fare uno stage durante le mie ferie nella sua cucina. E nel 2015, praticamente con mia madre che fremeva per rivedermi a casa per le ferie, me ne andai in Val Badia, mi innamorai del St Hubertus e della filosofia della “cook the mountain”, nata quando Niederkofler si chiese come la cucina potesse contribuire alla crescita sostenibile dell'intero pianeta e soprattutto come lo chef potesse promuovere la tutela del territorio. Era un mondo affascinante e il maestro, che capì che desideravo continuare a lavorare lì, esordì dicendo: “E ora chi glielo dice a Bolzano?”». Così continuò l'esperienza al St. Hubertus ma Pandolfo nelle pause, assetato di curiosità, è volato in Portogallo, a Copenaghen e a Sarentino, in posti scelti dove parla il prodotto e il territorio. E infine a Como prima che la pandemia rimescolasse le carte. E così Dario azzerando quasi il suo background si era proposto per fare panini nella sua Milazzo, anzi al colloquio, dove poi è stato giustamente valorizzato, non ha portato con sé nemmeno il cv: «Alla fine la proprietà dove adesso lavoro mi ha dato carta bianca. Abbiamo costruito tutto da zero. Dal menù alle posate. E insieme abbiamo sposato un progetto di cucina territoriale inteso come legame fortissimo ed imprescindibile con la “terra madre” dove tutta la materia prima viene rigorosamente selezionata attraverso una filiera fatta di contadini, pescatori e produttori appassionati che tramandano la professione di generazione in generazione».

Ed è, ad esempio, da un tour di scoperta alle Eolie che nasce lo spaghetto al pomodoro in bianco, gamberi rossi e la sua salsa: «Mi ricorda una delle prime visite che abbiamo fatto appena accettai il lavoro qui. E nei primi giri per scoprire i nuovi fornitori, siamo finiti a Lipari, dove abbiamo conosciuto la famiglia Costanzo, pescatori da generazioni, che invitandoci nel loro peschereccio hanno acceso una miccia. Perché una volta tirata la nassa infatti che si fa? Si mangia il gambero e si ciuccia la testa: quindi l'idea di questo piatto con il gambero bruto sopra e la salsa estratta a freddo dal corallo delle teste mi fa pensare a quella bellissima giornata». Vincente il rapporto con Michele Ainis, pastry chef messinese anche lui ritornato nella sua terra: «Sono entusiasta di lavorare con lui perché amo la pasticceria da ristorazione moderna. Abbiamo la stessa visione ed è un grande professionista. Del resto l'importanza della squadra è fondamentale. In ogni settore ci vogliono professionisti ambiziosi desiderosi di crescere». Intanto, lo chef che si è distinto nel periodo della pandemia per aver cucinato per tanti bisognosi creando una rete di solidarietà va avanti con umiltà: « Desidero fare bene nella vita e nel lavoro perché tutto il resto verrà da sé. Di sicuro voglio essere un uomo e uno chef migliore di ieri».

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