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Lo Stretto di Messina e quei 3 km che sono... 200

Gli svantaggi della condizione di insularità e il collegamento stabile: temi che s’intrecciano e che diventano centrali per la Regione siciliana

La condizione di insularità della Sicilia e il collegamento stabile nello Stretto: sono temi che necessariamente s’intrecciano, in una cornice che va molto al di là della contesa tra i “Sì” e i “No” su entrambe le sponde. L’uomo che più si è battuto per il riconoscimento costituzionale dello “svantaggio derivante dallo stato di insularità” (della Sicilia e ovviamente anche della Sardegna) è il prof. Gaetano Armao, docente all’Università di Palermo e già vicepresidente della Regione siciliana sotto la Giunta Musumeci. È stato lui che ha commissionato lo studio, realizzato con il contributo dei principali Atenei dell’Isola, in base al quale sono stati quantificati i costi a carico di ogni siciliano per l’obiettiva condizione di isolamento rispetto anche alle altre regioni del Mezzogiorno e alla mancata costruzione del collegamento stabile tra Sicilia e Calabria. È uno studio che è già vecchio di 5 anni (fu completato nel 2020) ma che la Regione sta attualizzando, su input del presidente Schifani, con un aggiornamento dei dati e delle cifre. Quel Report ha stabilito che, a causa della condizione di insularità, negli ultimi vent'anni, ogni singolo residente in Sicilia (neonati compresi) avrebbe pagato una sorta di tassa occulta quantificabile, annualmente, in 1.308 euro. Un costo che si traduce in circa sei miliardi e 540 milioni di euro (pari al 7,4 per cento del Prodotto interno lordo regionale) ogni dodici mesi. Tenendo, invece, in considerazione i costi dei trasporti e le conseguenze sugli operatori economici e i vari settori di attività, la stima dell'impatto della riduzione dei prezzi sul Pil risulterebbe pari al 6,8 per cento: il risultato è che l'Isola è gravata di una penalità quantificabile in sei miliardi di euro all'anno.

In un’intervista rilasciata al sito dell’Eurispes (l’Istituto nazionale di ricerca, di studi politici, economici e sociali), lo stesso Armao ha dichiarato: «Per la Sicilia il Ponte sullo Stretto, ma vorrei dire per l’intero Mezzogiorno e per il Sud Europa, costituisce una infrastruttura essenziale». Non solo, però, il collegamento stabile, perché «ciò non elimina la condizione di marginalità della Sicilia che è la regione insulare più grande d’Europa. Pur attenuandone il deficit di accessibilità, il Ponte connette due Regioni che hanno circa il 51% dell’accessibilità ferroviaria di quelle più accessibili del Nord del Paese. La Sicilia è, tra i casi considerati dallo studio del ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture, l’isola che presenta il più elevato potenziale di collegamento tra quelle che oggi non posseggono un collegamento stabile con la terraferma. Il suo rapporto popolazione/distanza è molto superiore a quello di diverse isole che posseggono già un collegamento stabile, quindi si tratta di un investimento strategico di perequazione che è di competitività per la Nazione. Le due regioni interessate sono in condizioni di assoluto svantaggio, non solo rispetto alla parte più sviluppata d’Italia, ma anche rispetto al Mezzogiorno preso nel suo insieme. Tale divario non è in corso di attenuazione, bensì si accresce, accentuando gli squilibri territoriali e le disparità sociali. Va ricordato che ad oggi, nonostante i circa 3 km di distanza che separano la Sicilia dalla Calabria, in effetti, se considerati in termini di durata di percorrenza la distanza è di oltre 200 km».
E questo è il dato più eclatante, sottovalutato nei dibattiti sull’argomento. «Il Ponte sullo Stretto – ha ribadito Armao – certamente consentirà alle merci della Sicilia e del Sud Italia di essere più competitive sui mercati europei e internazionali ma da solo non consentirà di superare la enorme distanza tra aree della Sicilia interne e periferiche e il continente Europa. Al meglio la percorrenza sulla tratta Palermo-Roma potrà ridursi da 12/14 ore a 9 ore e quindi la marginalità territoriale di buona parte dell’Isola e l’esigenza della piena continuità territoriale, per alcuni versi, restano irrisolte». Da qui la necessità di intervenire, come in parte si sta facendo con il grande piano di investimenti di Rete ferroviaria italiana in Sicilia, su tutto il territorio dell’Isola, per far sì che il Ponte sia al centro di un sistema di connessioni viarie e ferroviarie dove nessuna delle nove province venga esclusa o marginalizzata.
E proprio sul tema “Isola Oggi: Sicilia: le implicazioni economiche, culturali e sociali dell’insularità”, si terrà il 13 gennaio, all’Università di Palermo, un importante confronto al quale prenderanno parte, tra gli altri, il commissario dello Stato per la Regione siciliana, Ignazio Portelli, l’ex vicegovernatore Armao, l’assessore all'Economia della Regione siciliana Alessandro Dagnino e la docente di UniMe Daniela Novarese.
Il riconoscimento nella Carta costituzionale della Repubblica italiana della condizione di insularità è stato un passo avanti importante, ma non accompagnato, poi, da atti conseguenti (i fondi stanziati per il triennio 2023-2025 e destinati a Sicilia e Calabria per la riduzione degli svantaggi sono obiettivamente irrisori, 2 milioni di euro per ciascun anno, 6 milioni in tutto), eccezion fatta per il maxi-investimento previsto per la realizzazione del collegamento stabile, quei 13 miliardi 532 milioni di euro che, a tutti gli effetti, rientrano nell’ambito delle misure per annullare il divario tra l’Isola e il resto del Continente. Non possiamo non ricordare che è stata, nel corso degli anni, la Commissione europea a riconoscere gli effetti penalizzanti dell'insularità, «intesa come discontinuità territoriale», e nell’invitare gli Stati nazionali ad attuare «azioni politiche capaci di ridurre il gap rispetto alle aree continentali». La Sicilia, con i suoi circa cinque milioni di residenti (quota che si va abbassando sempre più, a causa dell’emergenza demografica e dello spopolamento), si colloca al di sotto della media italiana ed europea rispetto alla maggior parte degli indicatori sociali ed economici (soprattutto in termini di infrastrutture, materiali e immateriali) che Bruxelles adotta proprio per operare i confronti spaziali e temporali tra le varie regioni.

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