Il dibattito sul Ponte, arroventato da un clima permanente di campagna elettorale, si gioca su una sorta di quotidiano “ping pong” o botta e risposta tra i “contrarissimi” e i “favorevolissimi”, con in mezzo una vasta platea di “tiepidi”, “scettici come San Tommaso”, “moderatamente favorevoli”, “contrari fino a prova contraria”, “laici”, “agnostici” e “attendisti dell’ultimo giorno”.
È incredibile come gli stessi temi, le stesse domande e risposte, tornino alla ribalta ogni giorno, rilanciate da un circuito mediatico nazionale che non si sa bene a quali fini risponda. E nessuno riesce a convincere l’altro, perché i “favorevolissimi” resteranno tali, come i “contrarissimi”. Gli altri? Qualcuno, forse, cambierà idea, ma solo nel momento in cui si dovesse dimostrare che il Ponte di Messina sarà bello come quello sul Bosforo, a Istanbul. Altri cambieranno idea in corso d’opera, ma in senso contrario, perché intimoriti dalla prospettiva dei troppi anni di poderosi scavi da gallerie e di cantieri a cielo aperto punteggiati su tutto il territorio comunale.
«Il Ponte non si può fare per una legge regionale della Calabria». «Il Ponte va realizzato perché c’è una legge dello Stato, approvata dal Parlamento, firmata dal presidente della Repubblica, che lo definisce urgente e necessario». «Il Ponte sottrae risorse al Sud». «Mai tante risorse sono state investite al Sud». «I fondi per il Ponte sono incerti». «È l’unica grande opera italiana che ha già l’intera copertura finanziaria: 12,5 miliardi». «Il Ponte non è realizzabile perché i suoi piloni poggiano su faglie sismiche attive». «Il Ponte è l’opera antisismica più sicura al mondo». «Il Ponte è una cattedrale nel deserto». «Il Ponte è il segmento, essenziale, di un più ampio sistema infrastrutturale, con 60 miliardi di euro già investiti sulle strade e sulle ferrovie siciliane». E si potrebbe continuare all’infinito...
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