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Marina Abramović a Taobuk: «L’amore senza condizioni ci cambierà»

La pioniera della body art e la sua autobiografia «Attraversare i muri». Una performance di parole e di ripetizioni l sua: «Ci stiamo innamorando del nostro pianeta, smettiamola di trattarlo come spazzatura»

Vestita di nero e senza la treccia d’ordinanza ma con i capelli sciolti, Marina Abramovic si è presentata un po’ raffreddata ma con una performance di parole e di ripetizioni. Il gioco è ripetere tre volte alcune frasi, per fissarle nella mente, nel cuore: «Ci stiamo innamorando del nostro pianeta, dobbiamo smetterla di trattarlo come se fosse spazzatura. Stiamo imparando ad amare tutti gli esseri umani. L’amore senza alcuna condizione ci cambierà. Insieme cambieremo il mondo». E spiega: «In questo momento storico, in cui l’umanità è colpita da guerre ci sono persone che hanno molte cose da dire, tra cui gli artisti. Per me è importante avere una visione d’insieme di quello che è oggi l’umanità. La guerra è sempre la morte. Sua Santità il Dalai Lama un giorno disse che se ci perdoneremo tutti, smetteremo di ucciderci. Con questo sentimento ho scritto le frasi che vi ho dedicato». Grande Marina.

Tra le condotte di vita di un artista, lei include una condizione ben precisa: «L’artista dovrebbe stare in lungo vicino a un vulcano in eruzione». E lei, in questi giorni, ha scelto l’Etna, visto che è ospite di Taobuk e ieri sera è stata la protagonista di un incontro con il pubblico, sollecitata dalla giornalista Roberta Scorranese e dal direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi, Arturo Galansino. La presentazione è quella che scrive nella sua autobiografia: «Attraversare i muri»:

«Vengo da un luogo oscuro. La Jugoslavia postbellica, dalla metà degli anni Quaranta alla metà degli anni Settanta. Una dittatura comunista, a capo della quale c’era il maresciallo Tito. Una continua carenza di ogni cosa, e grigiore ovunque. È una caratteristica del comunismo e del socialismo: una specie di estetica del brutto assoluto. La Belgrado della mia infanzia non aveva nemmeno la monumentalità della piazza Rossa di Mosca».

Marina Abramovic, pioniera della body art e oggi star – davanti al suo hotel l’attendevano in tanti - è fuggita da quella Belgrado senza mai liberarsi del suo passato: sarà per questo che ha attraversato la vita sfidando i limiti del corpo e della mente, scioccando e ammaliando con performance estreme e pericolose. Oggi è «felice di essere libera».

Ma quella mamma che a suon di botte e ceffoni l’ha addestrata a essere un soldato come lei che dal dentista rinunciava all’anestesia, se la porta ancora dentro: «Detesto il dolore fisico ma riesco a sconfiggerlo solo durante le performance. È un muro insopportabile ma se si riesce ad attraversarlo si acquista nuova energia. Io ho bisogno del pubblico per riuscirci».

Infatti, negli anni ha messo a nudo corpo e anima davanti ai pubblici di mezzo mondo, sempre bravissima a scindere il corpo dalle emozioni, giocando col suo «involucro», mettendolo in pericolo: si è frustata a sangue fino a non sentire più le sferzate; ha urlato fino a perdere la voce, si è data fuoco, si è tagliata il ventre, si è ferita le dita con un coltello, è rimasta sei giorni seduta su una montagna di ossa putride, pulendole. Un modo per lavar via le atrocità della guerra nei Balcani. La sua terra.

Poi conosce Ulay, artista tedesco dall’aria efebica che, dal ’76 e per i successivi 12 anni, sarà il suo partner nella vita e nell’arte. Una delle opere più importanti della coppia basate sul tempo – che affronta sia la vulnerabilità sia l’identità – è la famosa performance del 1977 «Imponderabilia», in cui Marina e Ulay rimanevano fermi in piedi, nudi, uno di fronte all’altro in un ingresso molto angusto che obbligava i visitatori a passare di traverso e, così facendo, a scegliere a chi dei due avvicinarsi.

Ma siccome pure per gli artisti l’amore è eterno finché dura, anche loro si sono detti addio non davanti a un bicchiere ma dopo una camminata di novanta giorni sulla Grande Muraglia cinese. Partendo da direzioni opposte, ovviamente.

 

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