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Quei divini migranti di bronzo, successo della produzione calabrese in scena a Messina

«Aramen & Stannum», i due guerrieri di Riace e la loro storia diventano spunto e innesco di narrazioni multiformi

Se vi dico «corpi restituiti dal mare» a cosa pensate? E se aggiungo «Riace», cosa vi viene in mente? E se metto giù alla rinfusa le parole «viaggio», «naufragio», «identità», «mare nostrum», «passato», «futuro», «terra», di cosa sto parlando? Sul filo di questa ambiguità, ma forse è meglio chiamarla polisemia (e siano sempre benedette le parole greche che si muovono nella nostra lingua, col loro carico – ops, un’altra parola “sensibile” – di significati e storie), si dipana, o meglio sarebbe si rapprende, si coagula in scene lo spettacolo «Aramen & Stannum», produzione del Teatro Primo di Villa San Giovanni, andato in scena con lunsinghiero successo al benemerito Teatro dei 3 Mestieri di Messina, un avamposto culturale di grande forza.
Aramen e Stannum sono i nomi latini di rame e stagno: i metalli che, in lega (ops, anche questa una parola “sensibile”, che dovrebbe rendere quantomeno circospetti noi meridionali: timeo leghistos et dona ferentes...) fra loro, diventano bronzo. Quello dei due mitici guerrieri di Riace, simbolo e icona di mediterraneità e d’appartenenza. E due sono in scena – i bravissimi e multiformi Silvana Luppino e Domenico Canale – a declinare tutte le possibilità “narrative” di quella straordinaria coppia di corpi e di segni. Due, come Aramen e Stannum, diversi e complementari, che incarnano mondi diversi in scenari diversi: sono sotto la pioggia, in spiaggia, ad aspettare i corpi che affiorano (quali corpi? Di quali migranti si tratta? Quelli di bronzo giunti dalla traversata del tempo, o quelli di carne e dolore, giunti sulle rotte dei trafficanti di uomini?); sono presentatrice e concorrente d'un grottesco telequiz basato sulla storia dei Bronzi, i loro misteri non ancora, non del tutto sciolti; sono due politici, di maggioranza e di minoranza, ma poco cambia, visto che – nelle loro giacche luccicanti da imbonitori – identico è il lessico, identici sono i tic linguistici, identica è la propaganda del vuoto, identica l'assenza etica; sono due divinità, un Apollo “cantautore” e una Melpomene scatenata; sono un uomo e una donna di una delle nostre coste, lungo il mare colore del vino, lo stesso di Ulisse, lo stesso dei due guerrieri di bronzo, chiunque siano, lo stesso delle spiagge di Riace o di Cutro. E non sono solo scene diverse: percorrono tutte le tonalità dello spettacolo e del sentimento. La comicità e l'elegia, il riso e la commozione. Apollo che intona «Ti amo» di Umberto Tozzi con la sua straordinaria “cetra” e il politico qualunquista che incespica nella grammatica e prende Dostoevskij per un calciatore. Due e-migranti senza tempo, o d'un tempo vicinissimo, appena ieri, appena noi con la valigia di cartone e il cuore a pezzi per la nostalgia.
E poi quei numeri: 10, e 9, e 10, e 5. Li recitano a due voci, vicini, prossimi al pubblico – che in quello spazio raccolto “sente” con più forza l'energia della scena. Sono i voti d’una pagella (ricordate la notizia di cronaca di qualche anno fa?) che una mamma premurosa aveva cucito nella giacchetta di suo figlio ragazzino, annegato nel Mare Monstrum vicino alla sponda italiana, alla Terra Promessa. Allora si tirano i fili di tutto quel percorso, divertente, emozionante, commovente, fino all'imprevisto rovesciamento finale. Protagonisti sempre loro, i corpi di bronzo d’immensa bellezza, che sono di volta in volta metafora e simbolo, bandiera e alibi, testimonianza e progetto.
Il bel testo del reggino Domenico Loddo, drammaturgo e scrittore, funziona alla perfezione, nel preciso meccanismo della regia di Christian Maria Parisi (scene e costumi sono di Valentina Sofi, luci di Guillermo Laurin, aiuto regia di Ruggero Britti). E viene un desiderio, alla fine: vedere lo spettacolo in quello che sarebbe il suo luogo naturale, il Museo di Reggio, che è la “casa” dei Bronzi. Lanciamo l'idea al nuovo direttore: dopotutto, i Musei sono “macchine di cittadinanza”, non solo custodi ma produttori di bellezza e di pensiero. Che è quello che, da migliaia di anni, si fa su queste sponde: ce lo dicono, tra l’altro, proprio i guerrieri di bronzo. Cerchiamo di meritarceli.

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