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Valeria Golino: vi racconto la mia Goliarda, ribelle e scabrosa. La serie ispirata al romanzo della scrittrice catanese

Parla l'attrice e regista: «La conobbi a 18 anni, era una donna dai mille talenti. Il suo libro è un inno alla gioia»

«Sono un’attrice di una certa età ma una giovane regista», scherza Valeria Golino, ieri ospite di Taobuk. In questi mesi si è regalata «L’arte della gioia», il libro postumo di Goliarda Sapienza, diventata una nuova serie, diretta proprio dalla Golino, alla sua prima esperienza con la serialità, dopo i film «Miele» ed «Euforia». Per chi non lo sapesse, Goliarda è la scrittrice «ribelle» siciliana che ha ottenuto riconoscimenti solo dopo la morte, e solo grazie al successo in Francia, evidentemente più trasgressiva dell’Italia.

La storia, infatti, è quella di una ragazzina della Sicilia di inizio ‘900 che scopre la sessualità e il desiderio di una vita migliore di quella che le è toccata, un racconto del diritto al piacere e alla felicità. Nel cast Tecla Insolia, Jasmine Trinca, Valeria Bruni Tedeschi, Guido Caprino.
«Un’avventura diventata realtà», spiega la Golino. «Ho conosciuto Goliarda Sapienza a 18 anni, quando stavo girando un film con Citto Maselli, suo ex marito, e dovevo perdere l’accento napoletano: mi portò da lei perché mi facesse da coach. Andavo a casa sua due volte a settimana e Goliarda, catanese, scrittrice ma anche attrice e donna dai mille talenti, mi insegnava la cadenza romanesca. La vedevo quindi sempre in versione casalinga: vestaglia, capelli arruffati, tante e tante sigarette accese. E un sorrisone che si apriva a grandi carezze sulle guance. Mi incuriosiva e mi intimoriva al tempo stesso. Ero davvero piccola e ho il rammarico di non averne intuito la grandezza».

E da grande ha acquistato i diritti del suo libro.
«Tante volte mi hanno chiesto di interpretare Modesta, la protagonista, ma nessun progetto – forse perché troppo scabroso – è mai andato in porto. Quattro anni fa ho saputo che i diritti si erano liberati: Angelo Pellegrino, compagno di Goliarda, ha preferito il mio gruppo, a patto che fossi coinvolta anch’io sul set. Non potendo più interpretare Modesta, ho deciso di fare la regista. Senza sapere a cosa sarei andata incontro».

In che senso?
«È una bestia a cinque teste che cerchi di cavalcare e che cerca di allontanarti, come in una corrida, con un’incredibile implicazione di storie e stili e una matassa di immaginario disobbediente. Con gli altri sceneggiatori abbiamo impiegato tre anni per scrivere la prima delle quattro parti che, suddivisa in sei episodi, sto montando».

Goliarda e Modesta s’intendono di libertà…
«Il libro non è affatto la biografia di Goliarda, le appartengono alcuni eventi, magari romanzati ma non l’omicidio. Modesta non ha nulla di edificante, di eroico, possiede però un fascino letterario unico. È una donna incredibilmente ferita ma estremamente libera che mi spaventa, mi turba, mi interessa, mi affascina. Quella che vedrete è una mia versione del libro, filtrata dalla mia personalità. Leggete il libro, è un tornado. Purtroppo, viviamo in un momento bigotto, che spero passi in fretta, in cui non si può scrivere più in un certo modo».

La sua arte della gioia?
«Sono propensa alla gioia. Ve ne sarete accorti alla serata di gala di sabato qui a Taobuk: comincio a leggere e in lontananza esplodono i fuochi d’artificio, decisamente più belli di me che leggevo; poi il vento scompaginava fogli e abiti, la gente applaudiva. Secondo me, era Goliarda che lanciava segnali. Tutto questo mi ha messo addosso una grande gioia. Conosco anche l’opposto della gioia, però...».

Lina Wertmüller la scoprì appena diciassettenne...
«Le sono grata, ha cambiato la mia traiettoria. Lei era incredibile, feroce, intelligente, affettuosa, cattiva sul set, come io non riesco a essere: non riesco a liberarmi di un certo bon ton insito in me. A proposito, Lina avrebbe fatto “L’arte della gioia” in maniera fantasmagorica, anche kitsch e, forse, si sarebbe avvicinata di più al libro».

Le sue preferenze tra i registi?
«Mi piacciono quelli di cui si è nutrita la mia generazione: Fellini, Kubrick, Truffaut, Scorsese. Non è detto che somigli ai registi amati anche se adoro molto rubacchiare. Tanto, alla fine, tutto è filtrato da me. E per questo non mi sento in colpa».

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