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Informazione libera, presidio di democrazia: a Taobuk il confronto promosso da SES

Un mestiere necessario, che può cambiare strumenti ma deve restare riconoscibile

Una professione che deve cambiare pelle senza perdere anima e cuore. E “scarpe”. Un mestiere necessario, un diritto costituzionalmente garantito, un baluardo democratico su cui si fonda una società consapevole e partecipe. Le sfide dell’informazione di qualità al centro dell’intenso confronto promosso ieri da Società Editrice Sud Gazzetta del Sud-Giornale di Sicilia e Taobuk nell’ambito del festival letterario che proprio ieri ha fatto registrare una delle sue giornate più intense, mettendo Taormina al centro del dibattito internazionale, tra cultura e attualità. Nei saloni del San Domenico si sono alternati momenti di profonda riflessione, aperti in mattinata dal IV Osservatorio euromediterraneo in collaborazione con la Commissione Europea, tra indipendenza energetica e libera circolazione, seguito subito dopo dal faccia a faccia con il ministro della Giustizia Carlo Nordio, dal panel su informazione e libertà, moderato dal vicecaposervizio della Gazzetta del Sud Antonio Siracusano, e, successivamente, dal confronto con il commissario dell’economia Paolo Gentiloni, che è stato accolto, così come Nordio, dalla prefetta di Messina Cosima Di Stani.

Nell’ambito del tema della tredicesima edizione del festival, “Le Libertà”, il dibattito sull’informazione si è aperto con un aforisma sul tema di Roberto Gervaso "La libertà deve essere libertà per tutti, quando lo è solo per alcuni non è più libertà, è tirannia", e ha preso le mosse proprio dalla Carta Costituzionale, il cui articolo 21 è stato richiamato dal prof. Michele Ainis, costituzionalista, componente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ed editorialista, per tracciarne i confini e sottolineare come l’ipertrofia dell’informazione non significhi necessariamente una migliore realizzazione del diritto di informare e essere informati. «Troppa informazione» non significa quindi più libertà di conoscere, ma anzi può tradursi nel suo contrario. Ainis ha poi sottolineato che come tutte le libertà anche quella di stampa ha i suoi limiti, alcuni contenuti nella stessa norma costituzionale (il “buon costume”) altri che emergono da diverse previsioni normative (il diritto all’identità, alla privacy, alla reputazione). Il costituzionalista ha poi constatato la deriva del rovesciamento di priorità, che prima era della parola sull’immagine e ora è invece il contrario, auspicando un ritorno alla formazione del pensiero critico attraverso la moltiplicazione delle occasioni di lettura, perché ha ribadito, «il diritto all’informazione dipende dal diritto all’istruzione». E sulla formazione dei giovani, quale investimento nella creazione di un pubblico consapevole, si sono soffermati un po’ tutti i relatori.
Antonio Di Bella, direttore dell’Approfondimento RAI, ha lanciato l’allarme su rischi della disintermediazione, che fa apparire il giornalismo quasi come superfluo, ricordando, prima ancora del modello Trump, anche il suo predecessore Obama, e ammonendo sulla necessità di una professione che «fa le pulci al potere» e che non potrebbe estinguersi senza determinare una lesione gravissima del sistema democratico. «Il giornalismo è tutt’altro che morto – ha osservato – sta trovando altre forme per esistere e difendere una democrazia che altrimenti sarebbe mutilata».
Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera ha evidenziato i rischi e le opportunità di una trasformazione in atto, sottolineando il ruolo dell’informazione di qualità quale «punto fermo» di cui tutti prima o poi scoprono di avere bisogno, da promuovere tra scuola e famiglie, perché le fake news si combattono solo con la formazione della spirito critico. Fontana ha evidenziato come la riduzione delle copie cartacee si sia tradotta in un aumento di lettori digitali, con un notevole incremento registrato durante la pandemia: «Il punto non è lo strumento, ma farci leggere, essere noi stessi ovunque il lettore voglia leggerci, accompagnandolo nel formare la propria opinione, senza essere “armate da combattimento”».
Carlo Mandelli, amministratore di Mondadori Media Spa, ha posto l’accento sulla responsabilità in particolare nel settore dell’editoria digitale, auspicando l’individuazione di regole chiare rispetto alla pubblicità, alla creazione di contenuti e al rapporto con i big del web, gli “over the top”, e quindi con l’intelligenza artificiale. Mandelli ha ribadito che l’impresa editoriale deve imparare ad operare in una dimensione diversa, molto più competitiva dove le risorse (ad esempio quelle per l’investimento pubblicitari) sono sempre le stesse ma da dividere tra più soggetti e dove ormai i brand devono adeguarsi alla velocità del mercato.
Stefano Mauri, presidente e amministratore delegato del Gruppo Editoriale Mauri Spagnol, ha condotto una interessante analisi sull’approccio alla lettura dei libri specie nei più giovani, distinguendo tra ragazze (più propense) e ragazzi , e evidenziando l’importanza dei canali social nella promozione della lettura rispetto a questa fascia di pubblico, anche per i quotidiani, oggetto di un podcast molto seguito.
Manuela Moreno, vicecaporedattrice Esteri del TG2, ha richiamato il mestiere che si fa andando a ricercare le notizie alla fonte, «consumando le scarpe», con le verifiche dirette ma anche con i «rischi» del mestiere, come le pressioni o i contrasti che sfociano nelle querele.
E lo spunto è stato colto da Lino Morgante, presidente della Società Editrice Sud, che ha fortemente stigmatizzato le querele «predatorie», e ricordato come l’informazione di qualità non possa prescindere dai bilanci in ordine delle aziende editoriali. Il presidente ha anche ammonito a tenere distinti i social dall’informazione, sottolineando il valore della multimedialità che consente di raggiungere un numero più alto di lettori. Morgante, presidente della Fondazione Bonino Pulejo, azionista di riferimento della Ses per volontà del fondatore Uberto Bonino, ha poi rimarcato il valore del dialogo con le giovani generazioni, cui la mission della FBP si rivolge, e che sono destinatarie di un grande progetto internazionale di media literacy come quello portato avanti dall’Osservatorio Giovani-Editori, del quale anche SES fa parte come le più importanti aziende editoriali italiane, promuovendo anche progetti specifici, come quelli condotti con le scuole e le Università di Sicilia e Calabria da Gazzetta del Sud e Giornale di Sicilia per un’azione di sensibilizzazione e consapevolezza sulla responsabilità della parola e sulla differenza tra l’informazione “doc”, ispirata al rispetto per la verità e per le persone, e tutto il resto.

E in proposito ieri è stata davvero intensa la presenza di studentesse e studenti scolastici e universitari (uno di loro, del Liceo La Farina di Messina, ha chiuso l’incontro con una appassionata domanda sulla “missione dell’informazione”), particolarmente apprezzata da Agnese Pini, direttrice dei quotidiani del gruppo Monrif (La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino, Quotidiano Nazionale) che ha rimarcato la differenza tra informazione e comunicazione: «Se il presidente Zelensky twitta non è informazione, ma comunicazione. Nobilissima, ma un’altra cosa». «La nostra – ha affermato – è la generazione più informata, con l’avvento del telefonino l’informazione ha smesso di essere elitaria: i giornali hanno perso potere e lo ha acquistato il pubblico. Di ciò sono contenta, ma a più informazione corrisponde anche più disinformazione. Per fortuna oggi le aziende editoriali hanno capito che riempire la home di gattini che miagolano non paga. Il punto non è fare i click, ma farseli pagare. E nessuno paga per vedere i gattini che miagolano, ma paga per leggere buona informazione, ben scritta, titolata, impaginata, con buone foto. E questo si fa oggi come trent’anni fa, il metodo non è cambiato. Ed è per questa ragione che la buona informazione è salva».

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