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«Qui mi sento in famiglia»

Dottorato honoris causa al regista Tornatore

«Ogni volta che torno a Messina mi sento in famiglia». Giuseppe Tornatore lo ripete sempre, con estrema sincerità. E ha voluto mantenere l’impegno preso con l’Università peloritana, che stamattina gli conferirà il dottorato honoris causa, nonostante lo slittamento, doveroso, per la morte di Ettore Scola.

Il 2016 è significativo per Tornatore – che da queste parti rimarrà per tutti “Peppuccio”, pur se oggi diventa dottore di ricerca – perché è uscito il suo nuovo film, “La corrispondenza”, e perché taglia il traguardo dei 60 anni d’età (a maggio) e dei 30 anni della sua splendida carriera avviata con “Il camorrista”. Per questo film vinse il suo primo premio importante, il Nastro d’argento per il miglior regista esordiente. Lo ritirò a Taormina, il 25 luglio 1987. E in quella serata il trionfatore nelle categorie maggiori era stato – singolare intreccio del destino – Ettore Scola con “La famiglia”.

Da allora tante altre volte Tornatore è stato premiato a Taormina, ma è davvero speciale il legame che lo lega a Messina e nasce fin dal tempo in cui il pubblico peloritano fu l’unico, in tutt’Italia, a tributare nel novembre 1988 un trionfo assoluto a “Nuovo cinema Paradiso”, nell’originale versione “lunga”, mentre dappertutto il film veniva rapidamente smontato dalle sale e, quasi certamente, destinato all’oblio.

È una vicenda che sembra proprio perfetta per una sceneggiatura di Tornatore e che ormai campeggia nelle pagine della storia del cinema nazionale. E che, come tutte le favole a lieto fine, fa sempre piacere rievocare. La raccontò lo stesso regista per l’ennesima volta tre anni fa, nella sua precedente visita ufficiale a Messina, quando fu protagonista di due affollatissimi incontri all’Università e nell’auditorium della Gazzetta del Sud. Dopo il buon debutto con “Il camorrista”, Tornatore e il produttore Franco Cristaldi nutrivano legittime aspettative per “Nuovo cinema Paradiso”, che invece si stava rivelando un massacro di pubblico e di critica, un fiasco di quelli che possono stroncare la carriera di un giovane regista. Ma fortunatamente c’era il “caso Messina”: l’unica città in cui il film andava, e benissimo.

«Mi ricordo – racconta Tornatore – che, dato che “Nuovo Cinema Paradiso” era uscito in Sicilia solo a Messina, fu interpellata anche l’agenzia del distributore di Catania perché si pensò, per un attimo, che gli incassi fossero falsi, per aiutare il film. Ma non era così».

Gran parte del merito, infatti, fu del caparbio e lungimirante gestore dell’allora cinema “Aurora”, Gianni Parlagreco (scomparso prematuramente nel 2009), che era rimasto folgorato dalla bellezza del film e si ostinò a continuare a programmarlo, pur se nei primi giorni gli incassi erano magri. Decise allora di promuoverlo da sé, scendendo in strada e proponendo un singolare patto ai passanti: «Entrate e alla fine, solo se il film vi è piaciuto, pagate il biglietto».

Fatto sta che il film registrò incassi che oggi definiremmo “alla Checco Zalone”. Esclusivamente a Messina. Un raggio di speranza per Tornatore, che desiderò venire a ringraziare i messinesi, nel gennaio 1989, nella “Saletta Milani” di Ninni Panzera.

In quell’occasione Tornatore annunciò, per la prima volta pubblicamente, che si stava accingendo, con la morte nel cuore, a tagliare un “capitolo” del suo film, quello in cui Totò ed Elena tornano a incontrarsi dopo anni, ormai adulti.

Ma anche nella versione “corta”, quella ormai standard, il film negli altri cinema nazionali continuava a languire. Fu, comunque, selezionato in concorso a Cannes, dove vinse il Gran Prix speciale della giuria. Un riconoscimento meritato e importante per consentirgli di poter mettere in lavorazione il suo terzo film “Stanno tutti bene”, che non viene inserito nella “tetralogia siciliana” del regista (“Nuovo cinema Paradiso”, “L’uomo delle stelle”, “Malèna” e “Baarìa”), perché in gran parte è girato nel resto d’Italia.

Ma due formidabili sequenze furono realizzate proprio nel Messinese: nella parte finale a Forza d’Agrò, sito del cimitero dove il protagonista Matteo Scuro (Marcello Mastroianni), sulla tomba della moglie, esclama la frase – una patetica e scusabile bugia – che dà il titolo al film. Mentre i “laghetti” di Marinello, l’oasi naturale sotto il Santuario di Tindari, sono immortalati nell’incubo di Matteo Scuro che teme che i suoi figli, bambini, vengano portati via da un’inquietante mongolfiera nera.

Proprio mentre Tornatore stava girando quella scena sulla spiaggia con l’indimenticabile Mastroianni, nell’ottobre 1989, giunse la notizia che l’Italia aveva designato “Nuovo cinema Paradiso” per la corsa alla nomination all'Oscar come miglior film straniero, conclusa trionfalmente nel marzo 1990 a Hollywood.

Per questo Peppuccio Tornatore viene in riva allo Stretto appena gli è possibile: per accompagnare il lancio di ogni suo nuovo film, per ricevere altri riconoscimenti (nel giugno 2010 ha ricevuto il XVI premio internazionale Bonino), ma soprattutto per sentirsi a casa, tra amici.

E resteranno profetiche le parole di Tornatore nella “Saletta Milani” nell’ ’89: «Stavo sognando che gli spettatori messinesi fossero gli spettatori di tutto il mondo, che quindi il mio film aveva avuto un immenso successo e aveva vinto l'Oscar. Ma grazie a voi sono contento lo stesso, come se l’Oscar l’avessi vinto davvero».

Per fortuna, come nelle belle storie che si rispettino, i sogni possono diventare realtà.

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