Un grande passato archeologico da far conoscere. Messina e la sua provincia sono veri e propri forzieri di memoria con centinaia di siti che testimoniano la presenza di evidenze importantissime per conoscere soprattutto la storia dei greci e dei romani che nei secoli precedenti hanno fondato e popolato dalle nostre parti intere città.
E per far conoscere a tutti questo immenso patrimonio, purtroppo “seminascosto” anche a causa della grave mancanza a Messina di un vero e proprio museo archeologico, abbiamo voluto fare il punto della situazione con la soprintendente ai Beni culturali Mirella Vinci e il team che da anni lavora nei vari cantieri sparsi tra la città e la provincia, composto dalle archeologhe Giusy Zavettieri, Maria Ravesi e Nunzia Ollà.
«La maggior parte dei rinvenimenti, che sono di grande valore - ci spiega Mirella Vinci -, sono il risultato dell’attività di sorveglianza che la Soprintendenza ai Beni culturali di Messina svolge sul territorio, esercitando un capillare controllo sia attraverso i propri funzionari, per gli interventi di carattere privato, sia attraverso i professionisti esterni abilitati ad eseguire le attività sui beni culturali sul fronte degli interventi pubblici».
Ma come vi siete mossi in questi ultimi anni sul fronte dei ritrovamenti?
«Per le evidenze riportate in luce nei singoli cantieri, dopo la documentazione grafica e fotografica, sono state adottate diverse soluzioni, conciliando esigenze progettuali ed attività di tutela. Sono state, pertanto, di volta in volta, messe in atto soluzioni tecniche diverse. Nella maggior parte dei casi le strutture rinvenute sono state documentate e poi debitamente protette e conservate al di sotto dei livelli di realizzazione delle opere previste in progetto. In altri, come nel caso delle evidenze nell’area di Villa San Pancrazio, a Taormina, dove è stata rinvenuta una fornace e poi sono emersi lembi di strutture murarie di età ellenistica e di prima età imperiale, sono state adottate soluzioni tecniche idonee a garantirne la fruizione, consentendo la realizzazione delle opere previste in progetto, in questo caso una piscina che verrà realizzata in posizione sopraelevata. In altri casi, penso alla stazione di Castel di Tusa, le strutture murarie rinvenute sono state recuperate e ricollocate in un’altra sede, in questo caso il cortile di accesso alla stazione. Tengo anche a sottolineare che ormai da tempo abbiamo instaurato una proficua collaborazione con il Comune di Messina per progetti e interventi di valorizzazione e fruizione delle aree archeologiche di Largo Avignone, della Tomba a camera, su questa ci saranno presto delle novità, e poi di Largo San Giacomo, dell’Area archeologica e dell’Antiquarium del Municipio».
Negli articoli di queste due pagine diamo conto delle scoperte, e in alcuni casi si tratta di inediti che vengono pubblicati per la prima volta, che sono state effettuate in questi ultimi anni nei principali siti archeologici della provincia. A Messina poi c’è un patrimonio immenso e poco conosciuto.
Facciamo un esempio della città. In via Cesare Battisti le indagini effettuate nel 2020 e nel 2021, nell’isolato 96, in occasione dei lavori per la realizzazione delle fondazioni di un palazzo moderno, hanno consentito di riportare in luce un altro settore della vasta necropoli meridionale di età ellenistico-romana, “Gli Orti della Maddalena”, dove c’è una stratificazione delle sepolture, in un ampio arco cronologico compreso tra il V sec. a.C. e gli inizi del V sec. d.C.. La necropoli ha restituito sepolture a inumazione e incinerazioni cronologicamente assegnabili al II-II sec. a.C.. Al di sotto dei livelli della necropoli, le indagini hanno consentito di rintracciare fasi e strutture riferibili ad un periodo di frequentazione dell’area databile tra il VI e il V sec. a.C., fornendo un dato importantissimo non solo per la ricostruzione della topografia della città antica, ma anche e soprattutto per la conoscenza dell’articolazione degli spazi all’interno di una zona a destinazione funeraria, posta al margine della città antica.
Scavi anche a Mistretta e Novara
Nuove indagini sono state effettuate in questi anni anche al castello di Mistretta, nell’ambito di un protocollo d’intesa con il Comune che ha finanziato i lavori, e a Novara di Sicilia e Stromboli, dove hanno eseguito le indagini, dietro concessione di scavo, rispettivamente l’Università di Catania e l’American Numismatic Society. E nell’ambito delle attività di questi anni c’è anche la mostra “Archeologia dei Nebrodi”, inaugurata il 9 luglio del 2021, frutto della sinergia tra Soprintendenza, Parco dei Nebrodi e Comune di S. Stefano di Camastra, realizzata con fondi del Parco dei Nebrodi. L’esposizione comprende ben 549 reperti provenienti da S. Marco d’Alunzio (Haluntium), S. Fratello (Apollonia), Caronia (Kalè Aktè), S. Agata di Militello, Monte Scurzi (sito indigeno ellenizzato, ricadente nel comune di Militello Rosmarino), S. Stefano di Camastra e Mistretta.
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