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Messina, l’incendio che distrusse il Villaggio Americano il 10 luglio 1924

Cento anni fa, il 10 luglio 1924, un incendio di immane violenza devastò il grande baraccamento americano, e segnò un momento cruciale nel laborioso processo di ricostruzione della nostra città, dopo l’infausta alba del 28 dicembre 1908. Il problema degli alloggi da edificare dopo quell’immenso rogo sorse infatti imperioso. Così nella “Gazzetta di Messina e delle Calabrie” dell’11 luglio 1924: “Alle ore 11 e 55, l’avvisatore 123 del Ponte Americano avvertiva la caserma centrale dei Pompieri che un incendio si era sviluppato nei locali dell’Istituto magistrale, e immediatamente una squadra di pompieri accorreva sul posto”.

Subito in fiamme il liceo ginnasio, la chiesa di San Clemente e duecento baracche. In effetti - ricordava Pietro Longo in “Messina città rediviva 1909-1933” -, “nei padiglioni in legname adibiti a sede del liceo ginnasio e della Scuola Normale si sviluppava l’incendio”. E aggiungeva. “In poche ore, questo primo settore del quartiere americano, fra il viale S.Martino e la via La Farina, nel tratto costeggiato dal torrente Zaera, venne del tutto distrutto dal fuoco”.

La notizia del devastante incendio procurò allarme generale: “Descrivere la scena di alta tragicità”, così ancora la Gazzetta, “è impossibile: chi ricorda le ore tragiche del terremoto del 1908, e gli incendi che si susseguirono e completarono il vasto disastro, può immaginare la scena dolorosissima e drammatica che si è svolta con una rapidità spaventevole, travolgendo sinistramente le bianche baracche, ancora un’ora prima gioconde di spensierate voci a dei preparativi dell’imminente pasto”.

Gli episodi di pietà si alternavano alle scene di terrore. E cadeva una pioggia ostinata, fra nugoli di fumo e lingue di fiamme. Il fumo insopportabile si diffuse fino alle zone centrali della città: c’è chi ricordava - come Maria Triolo, allora bambina - una nuvola fumosa che raggiungeva in modo preoccupante la zona delle baracche allora costruite nell’attuale sito della chiesa del Carmine.

Domato il fuoco, duecento famiglie s’aggiravano senza casa, senza beni, senza domani, vittime del “più bieco destino”. La costruzione degli alloggi in luogo delle baracche - notava ancora Pietro Longo - prese decisamente quota nel 1925. Il 30 giugno 1932 si contavano disponibili 5482 alloggi, con un totale di spesa di lire 258.815.000. Le cronache del tempo registrano la mobilitazione di alcune personalità, tra cui il noto attore Angelo Musco, che a Messina era di casa, che volle destinare il ricavato della recita Pomo d’Adamo, tenutasi al teatro Mastrojeni, “a beneficio dei danneggiati dell’incendio”.

Del Quartiere americano, così denominato essendo stato il legname per la costruzione delle casette - deliziosi cottage con giardino -, generosamente fornito dagli Stati Uniti, si sono occupati studiosi quali Carmelo Micalizzi, Basilio Maniaci, Francesco Cuzari, Sergio Di Giacomo. Noi qui ora ci siamo lasciati guidare in particolare da Giordano Corsi e dal suo libro “Il teatro Mastrojeni nella Messina delle baracche, 1910-1830” (Gbm, 1989), che rievoca quell’epopea da vecchio west, ben rilevata da Vincenzo Bonaventura (cfr. “Gazzetta” del 25 gennaio 1999).

La baraccopoli - detto anche Villaggio Americano, comprendeva una vasta zona, tra il torrente Zaera e il quartiere Miracoli, incluso il viale S. Martino e l’attuale villa Dante, e il lato mare fino alla ferrovia. Vi erano situati, tra l’altro, il Municipio, il Ginnasio-Liceo, la Scuola tecnica Antonello, l’Università, l’Istituto Tecnico e Nautico, il Tribunale, il Genio Civile, la Posta centrale, le chiese di San Giacomo e San Clemente.

Le famiglie che vi abitavano appartenevano ai ceti più diversi. Vissero lì, e “lì maturarono la loro personalità”, Salvatore Pugliatti, Guido Ghersi, Giorgio La Pira, e, per qualche tempo, Salvatore Quasimodo. Lì lasciarono la loro impronta figure illustri, come Concetto Marchesi, Manara Valgimigli, Giacomo Crisafulli, Federico Rampolla del Tindaro. Ed ancora - conclude Giordano Corsi - ingegneri, professori, industriali, artigiani, “che contribuirono a creare le premesse di una Messina ansiosa di riprendere appieno le sue antiche tradizioni”, in parte velate dall’angoscioso sisma del 28 dicembre.

Di quel “Baraccamento americano” non rimase più neanche la memoria, rimangono solo alcune tracce, come quel legno di pitch-pine che servì a realizzare i portoni e gli infissi delle nuove abitazioni, che ancora oggi si possono scorgere qua e là in alcune zone della città.

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