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Antonio D’Amato, nuovo procuratore capo di Messina: «La mia porta sarà sempre aperta»

Procuratore Antonio D’Amato, è la sua prima giornata ufficiale a Messina. Con quale sentimento arriva in questa città di mare e di vento?

«È un sentimento positivo. Fare tesoro di tutta l’esperienza umana e professionale che sono riuscito ad accumulare e metterla a servizio non solo dei colleghi, della procura, del tribunale e di tutto il distretto, ma soprattutto a servizio della comunità, perché come ho detto nel mio breve intervento di stamattina, il Procuratore della Repubblica esercita il controllo di legalità sul territorio, se si guarda alle leggi di ordinamento giudiziario e al potere di promuovere la repressione dei reati, e se si guarda ancora meglio questa legge di ordinamento giudiziario interviene a tutela dei deboli, dei minori, degli incapaci. Quindi questo patrimonio di esperienze che ho accumulato in tanti anni di attività giudiziaria veramente la voglio mettere a servizio di tutti quei soggetti che si trovano in una situazione in cui possono subire prevaricazioni o da altri, privati, simili. E faccio riferimento alle mafie che fanno della prevaricazione il loro strumento prevalente per affermarsi, e ovviamente al potere pubblico, quindi agli enti locali e alla pubblica amministrazione generale perché il cittadino è esposto al potere dell’autorità».

Cosa si aspetta da questo nuovo inizio a Messina che è una tappa importante della sua carriera?

«Mi aspetto che questa mia messa a disposizione di questo patrimonio venga assecondata e si riesca a trovare quelle sintonie all'interno dell’ufficio innanzitutto, ma di questo sono sicuro, all’interno del Palazzo di giustizia, quindi con gli uffici del Tribunale, della Procura generale della Corte d’appello, per fare in modo che la nostra azione sia efficiente ed efficace. Perché ci sia una risposta alla domanda di giustizia che sia innanzitutto tempestiva e che colga nel segno dei fenomeni, leggendoli, seppur traducendoli nei giusti binari processuali. Io penso che sia il primo strumento per recuperare quella fiducia che adesso anche strumentalmente, si può far percepire come incavo presso l’opinione pubblica, verso la magistratura».

Messina è una città che sta a cavallo tra due grandi network criminali, da una lato c’è la ’ndrangheta che adesso è prevalente, dall’altro Cosa nostra che, dicono gli osservatori, sarebbe in fase di recessione anche con l’incapacità di ricostituire la commissione di controllo. Lei è seduto su una poltrona molto importante che guarda a questi due network. Dal punto di vista della lotta alla mafia, lei che idee si è fatto e cosa vuole mettere in atto?

«È una domanda complessa che quindi esige, pretende, una risposta articolata. L'azione complessiva dello Stato, di contrasto alle organizzazioni mafiose in generale, che qui prendono il nome di Cosa nostra, ’ndrangheta, perché risente dell’attività delle propaggini della ’ndrangheta della Piana, è un’attività che certamente fa dell’azione giudiziaria il suo cavallo di battaglia, quindi il perno principale è certamente l'attività investigativa e la sua traduzione in termini di affermazione di penale responsabilità nelle competenti sedi davanti al giudice terzo ed imparziale. Ed in questa azione investigativa, ma ecco perché la risposta è articolata, che lo sforzo del pubblico ministero, quindi di una procura e quindi di una procura distrettuale come quella di Messina, che si trova in un territorio così nevralgico, è uno sforzo che deve tendere innanzitutto verso un’analisi di ciò che noi facciamo quotidianamente per comprendere quali sono le reali manifestazioni della presenza mafiosa sul territorio, che non è certamente rappresentata dalle tradizionali attività parassitarie, come l’estorsione o anche l’usura, che sono i classici strumenti per poter drenare risorse e poter far sentire il potere mafioso e quindi esercitare quel condizionamento che è consustanziale all'organizzazione mafiosa. Le organizzazioni mafiose oggi si sono evolute e questo processo evolutivo è un processo inarrestabile che si registra oramai da oltre un trentennio e che investe tutti i settori dell’economia e non è un caso che spesso, come dicevo stamattina, quando parliamo dell’azione di contrasto alla criminalità economica che certamente non è una categoria giuridica ma è una macro categoria, nella quale noi ricomprendiamo varie forme di manifestazione criminale, che non sono solo quelle della sottrazione di risorse all’erario sotto forma di mancato pagamento al fisco, quindi all’erario di imposte, tasse, eccetera, ma ricomprende, tutte quelle forme della criminalità da profitto che accompagnano oggi l’impresa, che sono il mancato investimento nelle norme sulla sicurezza ambientale, che determina anche qui l’inquinamento ambientale rispetto al quale gli occhi di un inquirente, gli occhi di un pubblico ministero del territorio devono essere sistematicamente sgranati. Ricomprende tutto quel settore della sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, quindi la normativa, e lo dico non tanto per ripetere un refrain ricorrente negli ultimi tempi, la sicurezza sul lavoro, o per assicurare che non avvengano incidenti mortali o lesivi. Ma lo dico perché la mafia investe nelle attività imprenditoriali a basso indice di tecnologia, perché non può sopportare i costi di una tecnologia il cui investimento ha dei costi di ammortamento che si riproducono nel tempo e quindi per recuperarli hai bisogno di un decennio, ma investe su tutte quelle attività semplici, come i lavori di edilizia. Si occupa, è un fatto soltanto recente, come agenzia di collocamento della manodopera attraverso delle società che aprono e chiudono, nel senso che di esse viene decretato il fallimento nell’arco di un anno e mezzo, due anni, di operatività, lasciando in piedi, in capo, semplicemente a dei prestanome dei grossi debiti , debiti rappresentati proprio come dire, da quell’accantonamento di soldi, di denaro, a favore dei lavoratori. Allora se noi riusciamo a leggere tempestivamente, avvalendoci ovviamente della Dia, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, della Polizia di Stato, se riusciamo a fare anche analisi, in questo anche l’attività di coordinamento nazionale della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo sarà di grande ausilio. Se noi riusciamo a leggere il sistema nel quale si inquadrano le singole vicende e processuali, avremmo compiuto un salto di qualità per inquadrare in un contesto più ampio le singole fattispecie».

Lei ha usato due termini stamane durante il suo intervento, legislazione emergenziale e legislazione panpenale, che non consentono oggi ai magistrati di lavorare in maniera concreta. Vogliamo approfondire questo punto?

«Per gli studiosi del diritto penale, uno dei principi cardine del diritto penale in un ordinamento liberale e democratico come il nostro, il ricorso all’armamentario penale dovrebbe rappresentare l’extrema ratio, e definire soltanto il dove altre sanzioni di carattere civile, di carattere amministrativo, ad esempio, non riescono a sortire l’effetto desiderato. Il fatto che in Italia oggi si contino oltre 8 mila fattispecie di reato, tante ne ha contate la commissione ministeriale presieduta dal ministro Nordio agli inizi degli anni Duemila, è la riprova più eloquente del fatto che ad ogni sintomo di recrudescenza, di comportamenti violenti o truffaldini o via di seguito, l’unica risposta che si riesce a mettere in campo, che abbia una sorta di efficacia, almeno dal punto di vista della propaganda, è il ricorso alla sanzione penale. Ma se così è, ecco perché io parlavo di riforme di sistema e non di settore, bisognerebbe altrettanto, come dire, tenere conto delle ricadute di carattere organizzativo che derivano da questo ricorso sistematico alla sanzione penale. Quindi ecco legislazione emergenziale panpenalistica, questo è il senso, quindi se veramente si vogliono mettere gli uffici giudiziari nelle condizioni di poter efficacemente dare una risposta alla sempre più consistente domanda di giustizia, la procura come il Tar, anche loro sono giudici di prima istanza, certo il Tar sul campo degli interessi legittimi, la procura soprattutto per quanto riguarda i diritti fondamentali della persona, sono però degli ordini di giustizia dai quali il cittadino si aspetta una risposta certa, immediata, tempestiva, rispetto all’abuso, alla prevaricazione, al sopruso, che sono stati subiti. Quindi se vogliamo riversare esclusivamente sul settore penale le speranze di uno Stato democratico, direi che questa non è la strada maestra, e non può esserlo perché il pubblico ministero rappresenta un po’ il medico al capezzale dell’ammalato che sta per spirare, cioè che sta per fare gli ultimi respiri della propria vita. E invece occorre effettivamente che si investa, non voglio qui appropriarmi dei compiti di chi ha responsabilità di governo, ma occorre investire sull’educazione, sul lavoro, sull’educazione scolastica, recuperare complessivamente quell’educazione che veniva impartita tanti anni fa con dei metodi che certamente oggi sono superati, perché l'innovazione tecnologica colpisce anche le famiglie, le migliori famiglie, e allora bisogna investire in una nuova attività di formazione, anche e soprattutto per i formatori. Poi investire molto sul campo degli enti locali e della pubblica amministrazione. E in questo caso ciò richiama le coscienze civili di chi si occupa della vita pubblica, di chi si occupa dell’amministrazione».

Stamattina quando è entrato per la prima volta in questo palazzo di giustizia, qual è stato il primo pensiero?

«Quello di battermi insieme ai colleghi per ottenere una sede giudiziaria davvero adeguata rispetto alle enormi responsabilità che ricadono sulla comunità giudiziaria messinese. Ho visto giù come sono sistemati i miei colleghi, i sostituti procuratori qui a pianterreno, ed è una delle prime cose che metterò nero su bianco per scrivere al ministro e non solo, per segnalare questa situazione di disagio, in cui sono costretti a lavorare quotidianamente, perché la vita del magistrato viene trascorsa prevalentemente in ufficio quindi occorre che vengano tutti quanti messi nelle condizioni di poter lavorare in un ambiente dignitoso. Perché dal benessere delle condizioni di lavoro scaturisce anche la risposta di una giustizia adeguata».

Grazie e buon lavoro...

«Mi lascia dire un’ultima cosa»

Certo...

«La mia porta sarà sempre aperta per chi vuole denunciare qualsiasi tipo di abusi, vessazioni, soprusi, estorsioni, ricatti. Sempre aperta».

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