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Quell'asse della droga tra Africo Nuovo e Messina: le 10 condanne dell'operazione "Scipione"

Le condanne sono sempre dieci. Ma cinque sono state ridotte grazie a “sconti di pena” con la cancellazione di alcune aggravanti. Ecco l’esito del nuovo processo d’appello dell’operazione antidroga “Scipione”, condotta a suo tempo dalla Direzione distrettuale di Messina, su un traffico di droga tra la Calabria e la nostra città.

Per cinque la pena è stata rideterminata mentre per altri cinque è arrivata la conferma. È stata rideterminata la pena per Santo Chiara a 8 anni, Stellario Brigandì a 11 anni e 8 mesi, Salvatore Favasuli a 8 anni e 8 mesi, Giovanni Morabito a 8 anni, Stefano Marchese un anno e 2 mesi più duemila euro di multa. La conferma della precedente sentenza d’appello hanno invece registrato Giuseppe Selvaggio, Costantino Favasuli, Fortunato Calabrò, Angelo Albarino e Giovanni Bonanno.

Il procedimento trattato ieri dai giudici d’appello, l’accusa era rappresentata dal sostituto procuratore generale Felice Lima, proveniva da un rinvio della Cassazione che aveva annullato la precedente sentenza disponendo un nuovo giudizio.

Nel luglio del 2023 la IV sezione penale della Cassazione aveva definito infatti un rinvio per parecchi imputati. I giudici avevano in pratica annullato per tutti la condanna d’appello per la “mancata motivazione” delle aggravanti, e per Chiara anche per la sua presunta partecipazione all’associazione dedita allo spaccio. A suo tempo la Cassazione aveva accolto i ricorsi dei difensori, gli avvocati Salvatore Silvestro, Carlo Autru Ryolo, Antonello Scordo, e per i pentiti il legale Di Micco di Roma.

Ieri i giudici d’appello hanno escluso l’aggravante dell’art. 74 per Brigandì, Morabito, Salvatore Favasuli e Chiara, e hanno assolto da un capo d’imputazione (per le condotte successive all’ottobre del 2016), Brigandì e Marchese.

Nell’aprile del 2022 la prima sezione penale della Corte d’appello presieduta dal giudice Francesco Tripodi riformò parzialmente le sentenze emesse il 19 marzo e 19 aprile 2021 dal gup, assolse Stefano Marchese dal reato di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico, con la formula «per non avere commesso il fatto» e rideterminò la pena a un anno e 8 mesi di reclusione e 3mila euro di multa.

Poi, riqualificò il reato di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico anche nei confronti di Angelo Albarino, non più riconosciuto “capo” del gruppo e pertanto condannato a 12 anni di reclusione. Inoltre, escluse la recidiva e rideterminò la pena per Santo Chiara in 8 anni e 4 mesi. Infine, per Stellario Brigandì, decise 12 anni e 10 mesi di reclusione. Confermò poi il verdetto di primo grado per Giovanni Bonanno, Fortunato Calabrò, Orazio Famulari, Costantino e Salvatore Favasuli, Giovanni Morabito, Giuseppe Selvaggio e Maria Visalli.

Secondo quanto è emerso dalle indagini dei carabinieri, un patto criminale legava le due sponde dello Stretto, con un nuovo asse della droga tra Africo Nuovo e Messina incentrato su un vasto traffico di droga, anche cocaina. Il 4 marzo 2020 i militari diedero esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare sfociata in 19 arresti, di cui 18 in carcere e uno ai domiciliari. Tutto partì dall’inquietante episodio avvenuto nel tardo pomeriggio del 27 settembre 2016, quando un uomo, con volto coperto da casco da motociclista e armato di fucile a canne mozze, esplose due colpi all’indirizzo di un tavolino esterno del “Cafè sur La Ville”, sul viale Regina Margherita.

Bersaglio: tre degli indagati dell’operazione Scipione. Le indagini portarono alla luce un traffico di stupefacenti con protagonisti, sul versante calabrese, la cosca che un tempo era retta dal boss della ’ndrangheta Giuseppe Morabito, detto il “Tiradritto”, e sul versante messinese un gruppo criminale “autonomo”, guidato da Giuseppe Selvaggio (poi divenuto collaboratore di giustizia) e Angelo Albarino, titolare di una paninoteca nella città peloritana, base operativa del sodalizio. Le successive attività di intercettazione, perquisizione e sequestro, corroborate dalle dichiarazioni dei pentiti (oltre a Selvaggio si aggiunse poi Giuseppe Minardi) permisero agli inquirenti di comporre il puzzle. Ci furono anche le dichiarazioni del pentito milazzese Biagio Grasso nell’operazione “Scipione”.

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