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Il risanamento a Messina: Bisconte simbolo di un fallimento

Quando quasi diciannove anni fa – era il 28 giugno 2005 – le ruspe iniziarono a buttare giù le baracche e le casette ultra-popolari di Bisconte, si parlò, non a sproposito, di giornata storica. Quelle baracche erano lì da settant’anni e nello stesso giorno avvennero anche i primi traslochi nel nuovissimo complesso edilizio costruito, proprio di fronte, dall’Iacp. I 189 alloggi che avrebbero dovuto rappresentare la svolta non solo per un quartiere, ma per l’intera città, una sorta di caso simbolo. Ed in effetti di caso simbolo si tratta, ma del fallimento di un sistema sul quale si è basato, per anni, il risanamento a Messina. Un risanamento che ha, in realtà, ha risanato poco. Sempre quel giorno, anzi, il giorno dopo, sulle colonne di questo giornale, Lucio D’Amico scriveva: «Il vero risanamento è trasformare i luoghi del degrado, e spesso della criminalità organizzata, in parti vive di città».

Ecco perché quel tipo di risanamento ha fallito, perché tutto si può dire, di quel pezzo di città, tranne che sia vivo. I luoghi del degrado si sono solo trasferiti qualche metro più in là. Trovando in quell’enorme complesso edilizio un habitat naturale per coltivarlo e alimentarlo, quel degrado. «Questo era un bel quartiere, hanno creato un ghetto», dice un abitante della zona, che del “casermone” è, di fatto, vicino di casa, «ma hanno pure occupato spazi che non gli competevano», aggiunge.

Difficile dire che quello di Bisconte fosse un bel quartiere quando c’erano le baracche e le casette. Anzi, a dirla tutta quando furono inaugurati i 189 alloggi, in molti applaudirono di fronte a quegli appartamenti nuovi di zecca, con ampi garage, cortili interni con spazi attrezzati. Uno spazio a misura d’uomo. O forse, col senno di poi – un poi che si sarebbe concretizzato piuttosto presto –, uno spazio a misura di degrado. Di delinquenza, anche. Degli spazi attrezzati nei cortili non è rimasto nulla.

Nei garage, oltre ai “macchinoni”, ci sono carcasse di auto rubate e cannibalizzate e di motorini sottoposti allo stesso amaro destino. Oltre a piccoli e grandi cumuli di spazzatura, anche attorno ai bidoni della differenziata, nei quali in realtà si differenzia così così, per la gioia della colonia di gatti che si è insediata. Però un concetto è sacrosanto, nelle parole pronunciate da quel tizio: «Hanno creato un ghetto».

È questo il fallimento. La creazione di palazzine pollaio, di quartieri ghetto, appunto, che non hanno risanato, ma deturpato, non hanno integrato, ma emarginato. Si era invertita la rotta, coi primi passi di Arismè, abbandonando quella logica del casermone che, però, in alcuni progetti è tornata prepotentemente a Palazzo Zanca, e uno di quei progetti è previsto proprio a Bisconte, di fronte ai 189 alloggi.

C’è una periferia spesso dimenticata, spesso lasciata ai margini, spesso ghettizzata, appunto, che va recuperata con ogni sforzo. È un dovere della politica che da queste parti i voti li ha sempre raccolti in gran numero, voltandosi troppe volte, poi, dall’altra parte. Un esempio? Una parte del cantiere del torrente Catarratti-Bisconte è stata pressoché abbandonata, e quindi trasformata in discarica a cielo aperto. Una palazzina abusiva che doveva essere demolita è rimasta in piedi, vuota e fatiscente, a metà tra il torrente e la strada. Brutture che sanno di indifferenza. Simbolo, anch’esse, del fallimento.

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