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Messina, il caso dell'untore Luigi De Domenico: assolti i medici che ebbero in cura la compagna poi deceduta per l'Aids non diagnosticato

La vicenda dell’avvocatessa contagiata dal partner sieropositivo

Il Tribunale di Messina

Assolti. Hanno deciso così i giudici per i due medici che erano finiti sotto accusa per la vicenda del cosiddetto “untore”, il 58enne Luigi De Domenico, l'uomo accusato di omicidio volontario per aver contagiato la sua compagna, l’avvocatessa messinese 45enne morta poi di Aids, senza rivelargli la sua sieropositività, impedendole cure adeguate. De Domenico il 13 ottobre scorso è stato condannato in primo grado per la seconda volta a 22 anni di reclusione. Il processo è dovuto ripartire infatti da zero dopo l'annullamento del primo per un vizio di forma tra i componenti della giuria, che avevano superato i 65 anni d'età, problema poi risolto definitivamente dalla Cassazione.

Dal processo principale si era sviluppata negli anni scorsi una seconda vicenda, che vedeva coinvolti due medici del Policlinico, accusati inizialmente di omicidio colposo, che aveano avuto ruoli diversi tra il 2015 e il 2016: la dott. Arianna D’Angelo, ematologa, e il dott. Aldo Molica Colella, reumatologo (all’epoca era in servizio all'ospedale Papardo). Secondo l’ipotesi d’accusa iniziale, la dott. D’Angelo avrebbe omesso di diagnosticare la sindrome da Hiv, il dott. Molica Colella avrebbe prescritto una terapia che avrebbe peggiorato le condizioni della paziente.

A conclusione del processo però anche l'accusa, c'era per la Procura il pm Pietro Vinci, ha chiesto ai giudici l'assoluzione dei due sanitari. Assoluzione che è stata poi decisa in sentenza.

E ancora una volta la richiesta d'assoluzione per i due medici è stata sollecitata anche dai loro difensori, gli avvocati Nicoletta Milicia e Andrea Pruiti Ciarello, che sin dalle battute iniziali della vicenda avevano sostenuto la correttezza del comportamento dei due professionisti, anche in base alle linee giuda medico-scientifiche nel caso concreto. I familiari dell’avvocatessa morta nel 2017 si erano costituiti parte civile con gli avvocati Bonni Candido ed Elena Montalbano, che avevano ottenuto di far diventare parte come responsabili civili i due ospedali che ebbero in cura l’avvocatessa deceduta, ovvero il Policlinico e il Papardo, che sono stati rappresentati rispettivamente dall’Avvocatura dello Stato e dall’avvocato Sebastiano Fazio.

Una prima perizia disposta dal pm nel corso delle indagini aveva già scagionato i due medici, che invece erano stati chiamati in causa sul profilo delle responsabilità professionali da una consulenza disposta dal gip in sede di incidente probatorio.

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