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Messina, "untore" a processo: depone il medico, scontro difesa-parte civile

Il 58enne Luigi De Domenico accusato della morte della sua compagna

Sono udienze difficili. Cariche di tensione e scontri processuali. Come quella di ieri mattina, mentre va avanti il “processo bis”, dopo l’annullamento del primo, a carico del 58enne Luigi De Domenico, definito “l’untore”, accusato di omicidio volontario per aver nascosto la sua sieropositività alla compagna, l’avvocata messinese 45enne che poi morì di Aids anche per le cure sbagliate. Ieri mattina davanti a giudici e giurati della corte d’assise presieduta da Letteria Silipigni è stato sentito in aula per oltre un’ora uno dei consulenti chiamati dal difensore di De Domenico, l’avvocato Carlo Autru Ryolo, ovvero il dott. Lorenzo Mondello, un infettivologo molto esperto, che per parecchi anni ha lavorato all’ospedale Papardo.

Il quale si è soffermato sia sugli aspetti relativi al contagio che su quelli concernenti le cure prestate all’avvocata deceduta, soprattutto dopo la diagnosi di Hiv effettuata nell’agosto del 2016 (le cure prestate prima sono invece oggetto del procedimento pendente davanti al giudice monocratico nei confronti di due medici, n.d.r.).

Secondo quanto ha ricostruito con le sue domande l’avvocato Autru Ryolo, sono stati enucleati alcuni concetti dal consulente di parte: dai valori delle analisi effettuate il 18 agosto del 2016 emergerebbe la natura recente dell’infezione, mentre la relazione tra l’avvocata e l’imputato si protrasse dal 2004 al 2008; questo si desumerebbe dal valore alto dei Cd4 di 648 (è un indicatore dello stadio di differenziazione dei linfociti T, n.d.r.), nonostante la terapia immunosoppressiva prescritta dal reumatologo e dal rapporto cda/cd8 che era 2,52 (secondo il consulente della parte civile Guaraldi - ha sottolineato l’avv. Autru Ryolo -, un rapporto cd4/cd8 inferiore ad 1 indica il carattere antico dell’infezione, mentre qui era di 2,52); la somministrazione della terapia antiretrovirale Atripla autorizzata dall’Aifa solo per i pazienti già trattati e con carica virale inferiore alle 50 copie; la somministrazione del cortisone per oltre tre mesi con frequenza massiva, tre volte al giorno, con inevitabile soppressione dei Cd4 aggravata dalla somministrazione dell’antibiotico Azitromicina, ne avrebbe amplificato gli effetti; la prescrizione di antibiotici ha aggravato la situazione clinica; l’effettuazione in una clinica privata di un intervento allo stomaco - secondo il consulente - sarebbe stato inutile, alla luce degli elementi in possesso dei medici. In conclusione - secondo quanto ha detto il dott. Mondello in aula -, anche in presenza dagli errori dell’ematologa (mancata diagnosi) e del reumatologo (somministrazione di immunosoppressori), con una terapia adeguata l’avvocata sarebbe ancora viva. Altro aspetto trattato quello del contagio. Il dott. Mondello ha affermato in sintesi che: una donna che ebbe una relazione con l’imputato era certamente sieropositiva prima di rapportarsi con De Domenico; non può ritenersi, in mancanza di dati obiettivi, che De Domenico sia stato contagiato nel 1990, in quanto fino al 2015, e cioè per oltre 25 anni, non ha avuto alcuna patologia; l’infezione di un’altra donna che ebbe una relazione con De Domenico non può definirsi recente bensì antica rispetto al 2010, e pertanto la donna era sieropositiva prima della relazione con l’uomo.

Quando è toccato ai legali di parte civile, gli avvocati Bonni Candido ed Elena Montalbano, controinterrogare il dott. Mondello, sono iniziate le “scintille”. Anche perché il primo difensore ha chiaramente affermato che in passato ci furono contatti tra la sorella della vittima - che ha presentato a suo tempo la denuncia -, e il medico escusso in aula, quando era in servizio al Papardo, su questa vicenda.

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