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Messina, fissato per il 28 aprile in Cassazione: il processo Beta sulla cupola mafiosa

Fissato per il 28 aprile in Cassazione: il processo Beta sulla cupola mafiosa. La “cellula” collegata al clan etneo che si era radicata in città

È fissato per il prossimo 28 aprile, davanti ai giudici della prima sezione penale, l’atto finale in Cassazione per uno dei tronconi investigativi più importanti degli ultimi anni, che s’è occupato del cosiddetto “mondo di mezzo” disegnato nell’operazione antimafia Beta. Fu l’inchiesta della Procura e dei carabinieri del Ros sulla cellula mafiosa collegata al clan Santapaola-Ercolano di Catania che si era radicata a Messina. Secondo l’accusa c’era cioè una vera e propria cellula di Cosa nostra con aderenze catanesi sovraordinata rispetto ai clan, che sarebbe stata in grado di avvalersi di professionisti, imprenditori, titolari di società, funzionari pubblici, per gestire gli interessi economici illeciti.
Il procedimento in Cassazione, rispetto alla sentenza d’appello che si ebbe il 30 maggio dello scorso anno, riguarderà solo 8 degli imputati iniziali, ovvero quelli che subirono condanne. Ma la sentenza d’appello del maggio 2022 fu clamorosa per diversi aspetti. Rimasero in piedi solo 8 condanne e si registrarono delle assoluzioni clamorose rispetto al primo grado, che ribaltarono completamente la prospettiva. Su venti imputati coinvolti si registrarono 8 condanne, 4 assoluzioni, 6 dichiarazioni di prescrizione e perfino 2 annullamenti. La sentenza della sezione penale di secondo grado presieduta dal giudice Francesco Tripodi, per Vincenzo Santapaola (cl. 1963) e Pietro Santapaola, entrambi nipoti di Nitto Santapaola in qualità di figli del fratello, in relazione alla contestazione di associazione di stampo mafioso dispose l’annullamento del verdetto di primo grado “perché il fatto è diverso da quello contestato”, e rimandarono gli atti alla Procura. Assoluzione parziale, ma rilevante, dall’accusa più grave di concorso esterno all’associazione mafiosa («perché il fatto non sussiste»), registrò l’imprenditore ed ex presidente dell’Ance di Messina, Carlo Borella, con una forte riduzione di pena rispetto al primo grado: la condanna d’appello fu di 2 anni e 8 mesi.

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