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Messina, riaperto il nuovo processo per “l’untore” Luigi De Domenico

Dopo l’annullamento del precedente è ricominciato da zero in corte d’assise con altri giudici e altri giurati

Erano le sette di sera passate quando il primo atto è finito. Mentre tutti uscivano alla spicciolata dal tribunale infagottati nei loro cappotti, che il freddo è tornato, scendendo stanchi lungo la scalinata che abbraccia il “Palazzaccio”, la luce gialla dei lampioni s’era accesa da un pezzo. È il nuovo processo. Con nuovi giudici. E nuovi giurati. E vecchi dolori. È il nuovo processo perché il primo è stato spazzato via, annullato, a dicembre scorso, dalla corte d’appello, dopo che s’è scoperto che in primo grado alcuni giurati avevano superato i 65 anni d’età, e la nostra legislazione non lo consente. Uno scandalo finito in parlamento. Quel processo aveva condannato a 22 anni di carcere, per omicidio volontario, il 58enne Luigi De Domenico, il cosiddetto “untore”, per aver ucciso nascondendo la sua sieropositività la compagna, l’avvocata messinese 45enne che nel luglio del 2017 morì di Aids tra atroci sofferenze. E cure sbagliate. E medici che non capirono la sua malattia.
Ma tutto questo è stato ormai come inghiottito una prima volta. S’è ricominciato daccapo. Adesso la corte d’assise è presieduta dal giudice Letteria Silipigni, a latere c’è il collega Domenico Armaleo, sono tutti nuovi anche i giurati, e sono tutte donne. Il pm è lo stesso, si chiama Roberto Conte, è lui che seguì le indagini dei carabinieri della polizia giudiziaria per ricostruire tutto. Si riapre una pagina giudiziaria che si stava quasi chiudendo.
È stato l’avvocato Carlo Autru Ryolo, il difensore di De Domenico, che attualmente è ai domiciliari dopo il carcere, ieri è rimasto per tutto il tempo in aula accanto al suo legale, senza dire una parola, a scovare il “tarlo” della prima sentenza e far annullare tutto. In mattinata quando s’è trattato di cominciare la “battaglia” con le questioni preliminari ne ha sciorinate una lunga serie, facendo intendere tra una frase e l’altra di riservarsi poi la richiesta di spostare il processo in un’altra città, per il classico “condizionamento ambientale”. Le sue istanze sono state quasi tutte rigettate. Tranne una, importante, ovvero che tutti gli atti del precedente giudizio non possano far parte di questo nuovo procedimento. Un fatto peraltro su cui si sono trovati d’accordo anche i due legali di parte civile che assistono i familiari dell’avvocata morta di Aids, ovvero Bonni Candido ed Elena Montalbano.

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