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Messina 1783, quel terremoto dimenticato che ferì mortalmente la città e la Calabria meridionale

Fra pochi giorni sarà il 240° anniversario del sisma del 1783: "Un cinque i frivaru”, dicevano i nostri avi"

Il video dell’architetto Luciano Giannone sulla Messina settecentesca ricostruita in 3D, che sta spopolando nel web e che è stato trasmesso in una recenta puntata di “Scirocco” su Rtp, offre l’occasione di parlare del terremoto che ferì la città il 5 febbraio 1783. Non fu come il sisma del 28 dicembre 1908 ma segnò fortemente la storia della nostra città.

Un tempo a Messina, se qualcuno fuori di sé metteva tutto a soqquadro scatenando un pandemonio, si usava sussurrare “Sta cumminannu un cinque i frivaru!”. Era un chiaro riferimento al 5 febbraio 1783 giorno funesto, quando un orribile terremoto sconvolse la Regina del Peloro e la Calabria (l'evento è anche noto come il "Terremoto della Calabria meridionale del 1783", ndr). Un raro volume settecentesco, “Storia dell’anno 1783” divisa in quattro libri, e stampato a Venezia a spese di Francesco Pitteri, di quel sisma riferisce. L’opera non è datata, ma sicuramente apparve «iniziando l’anno 1784». L’autore (anonimo, ma forse trattasi dello stesso Pitteri), così esordisce nell’ultimo dei libri, il quarto: «Il terremoto accaduto nella Calabria, ed in Messina nel dì 5 febraro non ebbe ne’ suoi effetti alcun esempio nella Istoria dell’Europa fino a nostri tempi. Non vi è che quello delle dodici Città dell’Asia, successo sotto Tiberio, e che Tacito lo ha così bene descritto in poche pagine nel secondo Libro de’ suoi Annali…”».

Seguono impressioni, notizie, considerazioni, ovviamente di prima mano, ben descritte e, secondo noi, conviene parlarne, ricorrendo, a giorni, il 240esimo anniversario di quel triste evento. Intanto, «un’idea del Teatro del sisma, che, secondo i rapporti giunti a Napoli, abbracciò una parte del mare Jonio, tutta la Calabria meridionale, le isole Lipari, la punta settentrionale della Sicilia e quella parte del mar Tirreno che si unisce al Jonio sopra il Canale di Messina».

Il terremoto avvenne senza alcun segno preventivo. «La prima scossa, la più gagliarda, s’avvertì a mezzogiorno e tre quarti”, appunto del 5 febbraio. Una seconda, forte anch’essa, «sopravvenne intorno alle nove dell’indomani, e finì di rovinare Messina». Diverse scosse, ma leggere, si contarono poi.

Le prime notizie del sisma giunsero a Napoli da Messina, «Città tanto famosa nell’Istoria – citiamo testualmente – che è diventata l’oggetto delle pubbliche calamità». A cominciare dalla disastrosa fallita rivolta contro la Spagna della fine del Seicento. Poi la peste del 1743, «che ne divorò quasi tutta la popolazione...».

Il terremoto di cui diciamo, «nello sviscerarne il suolo, l’ha resa un cumulo di rottami. La bella Palazzata, caduta da cima a fondo; senza rimedio distrutto il Villaggio di Torre Faro… E, ancora, il Real Palazzo, i Monti di Pietà, il grande Spedale, i due Real Convitti, la Chiesa Madre col suo gran campanile… li sostegni de’ cannoni si sono sollevati alcuni pollici sopra i ponti dei legni». Il Re delle Due Sicilie, «seguitando gl’impulsi del suo cuore benefico, pensò con ogni sollecitudine a tutti i più pronti, e possibili ripari». Di quanto avvenne a Messina, il Senato stilò una «distinta relazione».

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