È l’ex medico ed ex consigliere comunale Giovanni Cocivera l’indagato principale della recente indagine suo falsi green pass portata avanti nei mesi scorsi dal sostituto Roberta La Speme e dalla Guardia di Finanza.
E con lui, nel nucleo principale dell’indagine, sempre secondo l’accusa, ci sono anche altre tre persone: Giuseppe Cozzo, 67 anni; Francesca Arena, 49 anni; ed Emanuela Villari, 28 anni. Ci sono poi 35 indagati tra gli utenti che hanno ottenuto la certificazione falsa.
Per tutti e quattro, ovvero Cocivera, Cozzo, Arena e Villari, il gip Tiziana Leanza, che parla di «stabile vincolo criminale», ha disposto l’obbligo di firma dal lunedì al sabato, rigettando la richiesta d’arresto che era stata avanzata dalla Procura. Le qualifiche in relazione ai reati sono ovviamente diversificate: tutti e quattro rispondono di associazione a delinquere poiché “... davano vita ad un’organizzazione criminale dedita ad attestare falsamente la negatività al Covid-19 dei pazienti indicati al fine di fare loro ottenere il green pass”.
Sono assistiti in questa vicenda dagli avvocati Nicola Giacobbe, Giuseppe Romeo, Gianluca Nicosia e Piera Russo.
Il meccanismo: Cocivera, medico radiato dall’albo nel 2020 (è la vicenda degli aborti clandestini di qualche anno addietro, n.d.r.), inviava allo studio diagnostico “Santa Lucia s.n.c.”, amministrato di fatto da Cozzo, dati (foto della tessera sanitaria e numero di telefono cellulare) di pazienti in realtà mai sottoposti a tampone antigenico o i cui tamponi, pur essendo stati effettuati, non venivano processati; viene in evidenza nella vicenda anche il ruolo della Arena, ritenuta il direttore responsabile della struttura, e della Villari, ritenuta una dipendente di fatto dello studio; in questo contesto venivano inseriti nel portale del dipartimento regionale della Protezione civile “Sirges” e “Sogei” i dati dei pazienti ed i falsi esiti negativi trasmessi da Cocivera.
Scrive il gip Leanza nella sua ordinanza di custodia cautelare: «Così ricostruite le condotte oggetto di contestazione, ritiene questo giudice che, in punto di fatto, non sia revocabile in dubbio che in tutti gli episodi descritti il Cocivera abbia consentito - o eseguendo il tampone senza poi processarlo, oppure omettendo direttamente di effettuarlo -, alle persone che di volta in volta si presentavano al suo “studio” di ottenere il rilascio di falsi green pass, mediante l’inserimento nella piattaforma regionale SIRGES da parte dei responsabili o dipendenti del laboratorio diagnostico “S. Lucia” di dati attestanti l’esito negativo dei test in realtà mai verificati. Parimenti inconfutabile - prosegue il gip -, alla luce del contenuto delle intercettazioni riportate e delle immagini riprese dalle telecamere, che in tutti i casi considerati i “pazienti” che si presentavano al cospetto del Cocivera si rivolgevano a lui con la piena consapevolezza della “prassi” seguita dall’indagato e, più in particolare, della possibilità dallo stesso garantita, dietro pagamento, di conseguire la certificazione verde senza (o a prescindere da) l’esito del tampone».
Sulla qualificazione giuridica del reato il gip ha idee diverse rispetto alla Procura, secondo cui «... si configurerebbe a carico degli indagati il reato di falsità ideologica in atto pubblico, mediante induzione in errore del ministero della Salute, che sarebbe stato proditoriamente “indotto” a rilasciare una falsa certificazione dal contenuto dei dati trasmessi dal laboratorio “S. Lucia” in collaborazione con il Cocivera». Secondo il gip invece si tratta di «... falsità ideologica indotta commessa da pubblico ufficiale in certificato amministrativo», questo perché in sostanza il gip non ritiene il green pass un “atto pubblico” ma una “mera certificazione”.
Il gip Leanza poi torna a parlare del ruolo di Cocivera «all’interno di tale meccanismo illecito» e lo definisce di «assoluto rilievo». Si tratta di un indagato che «... si facesse lecito “garantire”, avvalendosi della complicità degli altri associati con i quali era in costante contatto, il rilascio del green pass secondo i “desiderata” dei pazienti... pilotando le tempistiche di inserimento dei dati nel sistema al fine di assicurare la durata della relativa “copertura”...; e, circostanza indice di patente spregiudicatezza, consentendo l’ottenimento della certificazione a soggetti, quali insegnanti, medici e appartenenti alle forze dell’ordine che, gravati dall’obbligo di sottoporsi a vaccinazione, utilizzavano tale escamotage per continuare a lavorare pur non essendo vaccinati incontrando, peraltro, la solidarietà dell’indagato (“Certo! perché ce l’hanno con i non vaccinati... Perché loro non hanno capito un cazzo - fonetico -, i vaccinati sono quelli che hanno diffuso la malattia perché se la prendevano la portavano in giro... non hanno capito proprio una minchia! - fonetico -, comunque lasciamo stare...”)».
In relazione alla posizione processuale della giovane Emanuela Villari, il suo difensore, l’avvocato Giovanni Romeo, ha scritto una nota alla “Gazzetta”: «Vi è da precisare - afferma il legale -, che non era dipendente, né mai lo è stata, del laboratorio di analisi cliniche. Non conosce personalmente Cocivera. Ella ha solo un rapporto di parentela con Cozzo (è il suocero del fratello), il quale nel pieno della pandemia e dell’obbligatorietá del green pass, le ha proposto di collaborare da casa all’inserimento dei dati dei tamponi effettuati nel sistema sanitario, considerato l’alto numero dei tamponi da inserire. Pertanto riceveva i messaggi con documenti del soggetto che aveva effettuato il tampone e procedeva all’inserimento per il rilascio dell’eventuale green pass. Nessun altro accordo con gli altri coindagati, nemmeno conosciuti. Ci sarà modo con ricorso al Riesame - conclude l’avvocato Romeo -, ma si spera già con l’interrogatorio di garanzia, di chiarire la posizione della mia assistita»
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