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Messina, il racconto: "Vi spiego cosa significa davvero essere vittima di bullismo a scuola"

Chiara, 33 anni, neomamma, per la prima volta racconta l’esperienza vissuta da ragazza. «Tutti mi dicevano: sono “goliardate”. Sono stata malissimo, da allora soffro di attacchi di panico ma mi sono ripresa la mia vita»

Immaginate di andare a scuola ed essere costantemente attaccati, verbalmente o anche fisicamente, dai vostri compagni, da quelli che dovrebbero essere i vostri primi amici. Per anni. Immaginate che a vivere un’esperienza simile siano i vostri figli. Negli ultimi anni, rispetto al passato, è certamente aumentata la consapevolezza in merito ai temi legati al bullismo, problematica contro la quale, nel 2017, è stata anche istituita una Giornata nazionale per la sensibilizzazione, fissata per il 7 febbraio. Proprio gli articoli pubblicati per l’occasione, nelle scorse settimane, hanno portato la giovane Chiara (nome di fantasia), 33 anni, di Messina, da qualche mese diventata mamma, a scegliere di raccontare la sua storia.
«Essere madre – spiega – mi ha portata a ripensare ai difficili anni trascorsi sui banchi di scuola. Ho pensato che quello che è successo a me potrebbe succedere a mio figlio. O ai vostri figli. So che io sarò una mamma molto attenta a determinati segnali, ma forse raccontare la mia storia può servire ad attirare ancora più l’attenzione da parte di tante famiglie e delle scuole». L’incubo di Chiara chiamato bullismo entrò nel vivo nei primi anni di liceo, in un istituto d’arte: «Lì – racconta – ho ritrovato, proprio nella mia stessa classe, un mio compagno delle scuole medie, un bullo, che già negli anni precedenti mi aveva preso di mira e che durante gli anni di scuola superiore riuscì a mettermi conto quasi tutta la classe». Iniziarono così i continui insulti, gli scherzi pesanti, le minacce, persino qualche aggressione fisica. «Sono stata presa di mira per la mia semplicità e per la mia grande timidezza – spiega –, venivo continuamente presa in giro in classe per il mio modo semplice di vestire. Neanche a casa avevo pace perché ricevevo continuamente chiamate e messaggi anonimi con insulti e minacce, pure di notte. Anche le amiche si allontanarono per paura di diventare un bersaglio. Scuola e famiglia sottovalutarono la situazione, attribuendola a semplici goliardate giovanili».
In realtà, si trattò per Chiara di vere e proprie persecuzioni, di quelle che lasciano il segno: «Nell’estate tra il terzo ed il quarto anno di liceo ho iniziato a soffrire di attacchi di panico. Non potrò mai dimenticare la prima volta che mi è successo. Ho creduto di morire. Il cuore batteva velocissimo, l’aria mi mancava. Mi è successo mentre passeggiavo intorno al lago e, in lontananza, alcuni dei ragazzi che mi attaccavano hanno iniziato a gridare il mio nome. Questo problema mi ha anche portato ad assentarmi spesso da scuola, anche se ho sempre mantenuto un buon rendimento. Gli insegnanti hanno capito e non ho perso anni».
Quello per tenere a bada gli attacchi d’ansia è stato un percorso lungo: «Probabilmente se ci fossero stati i social network come oggi avrei trovato il coraggio di farmi ascoltare tramite le community. Ho iniziato a stare un po’ meglio negli ultimi anni di liceo, quando ho cambiato scuola, e ancora di più negli anni di Università, ma in quest’ultimo caso mi ha aiutato anche la possibilità di non dover seguire tutte le lezioni e poter studiare a casa. Lo studio mi ha dato tante soddisfazioni. Ma tutt’ora, nei periodi di maggiore stress, torna l’incubo ansia. Ho difficoltà a stare nei luoghi in cui c’è tanta gente. La pandemia non mi ha aiutata».

Chiara, laureata in Beni culturali e in Storia oggi ha una bella famiglia e sogna di lavorare come bibliotecaria o in ambito amministrativo: «Potrei anche insegnare, ma non me la sento», afferma. La giovane donna ha voluto raccontare la sua storia, «sebbene non sia facile parlarne perché comporta ancora rabbia e paura», affinché la sua testimonianza possa servire a ribadire l’importanza di non sottovalutare gli atti di bullismo e i problemi psicologici, dei quali non bisogna vergognarsi.
«Gli attacchi di panico, quella voglia di scappare da non si sa cosa, hanno portato anche alcune amiche ad allontanarsi. Il disagio psicologico faceva e fa ancora paura a tanta gente. E questo non può e non deve succedere. Io ho cercato di capire anche le persone che per tanto tempo hanno reso difficile la mia vita e ho capito che probabilmente anche molti di loro avevano problemi psicologici».
«Persino il “leader dei bulli” – conclude Chiara –, che oggi è un make-up artist in una città del Nord, aveva un grande talento artistico, ma era un ragazzo molto problematico. Un supporto in questo campo aiuta le vittime e anche i possibili “carnefici”».

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