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Mafia a Messina, i Romeo-Santapaola e quel "mondo di mezzo": le motivazioni di "Beta"

Tra le quasi 500 pagine scritte dai giudici si agitano alcuni protagonisti del “mondo di mezzo” messinese tra avvocati, imprenditori, funzionari pubblici e prestanome

C’era «una precisa cultura mafiosa radicata nell’animo dei protagonisti», una cultura mafiosa «di cui trasudano le intercettazioni telefoniche ed ambientali».
E c’era «il prestigio e il potere criminale» del clan Santapaola-Ercolano anche a Messina, una «“fama” criminale» che «non abbisogna di azioni dimostrative di sangue né di violenza in genere, alle quali pur tuttavia il gruppo si è dimostrato in grado di ricorrere in casi di necessità».

Ma non era solo mafia quella decrittata nella sentenza di primo grado del 22 dicembre scorso per i riti ordinari del maxiprocesso “Beta” sul dominio trentennale a Messina della cupola mafiosa dei Romeo-Santapaola. Sentenza che a distanza di alcuni mesi da quella pronuncia ora registra il deposito delle motivazioni, scritte a quattro mani dai giudici della prima sezione penale Rita Sergi e Simona Monforte, che hanno composto il collegio presieduto dalla collega Letteria Silipigni.

Non era solo mafia perché tra le quasi 500 pagine scritte dai giudici si agitano alcuni protagonisti del “mondo di mezzo” messinese tra avvocati, imprenditori, funzionari pubblici e prestanome societari dalla faccia più o meno pulita, che secondo i giudici si sono perfettamente integrati in quel contesto criminale, tanto da essere stati condannati per concorso esterno all’associazione mafiosa. Due nomi su tutti: l’avvocato Andrea Lo Castro e l’imprenditore Carlo Borella.

Un altro dato importante delle motivazioni della sentenza è rappresentato dalla valutazione del dibattimento da parte del collegio, frutto di un processo lungo e complesso, che vide nell’ottobre del 2020 le richieste dell’accusa, formulate dai magistrati della Dda Liliana Todaro e Fabrizio Monaco, per un’indagine scattata qualche anno fa e culminata nel 2017 con una serie di arresti e sequestri. Sullo sfondo sempre i verbali del pentito milazzese Biagio Grasso, prima imprenditore e poi gran disvelatore del “mondo parallelo” tra mafia-politica-affari. Un dibattimento che ha provato secondo i giudici l’impianto accusatorio della Procura.

E per quel che riguarda l’apporto dei pentiti, tanti quelli comparsi in questo procedimento, i giudici ragionano sul fatto che hanno fornito un validissimo supporto probatorio ai riscontri investigativi dei carabinieri del Ros.
Scrivono per esempio i giudici che «... il complesso delle emergenze processuali, che il lungo ed articolato dibattimento ha consegnato alla valutazione del Collegio, ha consentito di validare l’impianto accusatorio in ordine all’esistenza ed operatività in Messina, sin dalla metà degli anni ’90, di un’associazione mafiosa, originariamente collegata al clan “Santapaola-Ercolano” di Catania, di cui ne costituiva iniziale propaggine, e radicatasi nel messinese come cellula autonoma rispetto alla casa-madre, di cui ne vantava la fama; essa è dotata di una propria organizzazione costituita da molti sodali, operanti in vari settori dell’economia nei quali reinvestiva i capitali provento di attività illecita, e di armi a disposizione del sodalizio, che valgono a connotarne la maggiore pericolosità».

Un gruppo che aveva ben salda la sua leadership: «... all’interno di essa emergeva indiscussa la figura di Romeo Vincenzo e di un nutrito gruppo di accoliti, di diversa estrazione e ambiti di operatività, impegnati nella vorticosa ricerca di settori dell’imprenditoria, messinese ma anche nazionale, su cui investire risorse per il conseguimento dei fini propri e, quindi, a vantaggio del gruppo».

Un gruppo dagli interessi multiformi: «... l’indagine, in definitiva, consentiva di fare luce, oltre che sulla più grave ipotesi di associazione a delinquere di stampo mafioso di cui al capo 1) della rubrica, su una serie di reati fine o comunque connotati dalla finalità agevolatrice dell’attività del sodalizio mafioso, quali molteplici intestazioni fittizie, estorsioni, corruzioni di pubblici funzionari, turbative di gara e altri reati connessi al settore del giochi e delle scommesse, nonché all’ambito delle competizioni non autorizzate di cavalli».

Un gruppo mafioso messinese che «... godeva di una diretta rappresentanza, capace di interloquire con gli altri gruppi mafiosi presenti sul territorio provinciale, nelle figure dei fratelli Piero e Vincenzo Santapaola, nipoti diretti del noto boss Nitto (Benedetto) Santapaola e del loro zio da parte materna Romeo Francesco, coniugato con Santapaola Concetta. Il sodalizio si è andato rafforzando nel tempo con l’emersione delle nuove leve - costituite dai discendenti di Romeo Francesco, tra i quali un ruolo di spicco ha indubbiamente ricoperto Romeo Vincenzo, e dei nuovi accoliti con i quali quest’ultimo ha intessuto fitte relazioni di affari - e con l’estensione degli ambiti di interesse operativo, si da creare un sodalizio criminale indipendente, dotato di organizzazione e mezzi finanziari propri e capace di infiltrarsi ai vari livelli del tessuto sociale, grazie alle cointeressenze coltivate con imprenditori, professionisti e funzionari pubblici».

A corroborare il quadro dell’accusa («straordinaria convergenza delle propalazioni rese, in epoche distanti tra loro»), hanno molto contribuito i pentiti: «... alla formazione del compendio istruttorio hanno pure concorso le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia escussi in dibattimento. Deve evidenziarsi, da subito, la differente natura dell’apporto dichiarativo dei collaboratori di giustizia inseriti nell’ambito di contesti criminali mafiosi già oggetto di vaglio giudiziario, quali gli esponenti del clan Santapaola-Ercolano, da un lato, e gli appartenenti al clan dei barcellonesi, dall’altro».

E il processo tra l’altro «... ha messo in luce come settore privilegiato su cui confluivano gli interessi della famiglia Romeo fosse quello dei giochi e delle scommesse. L’attività captativa, in particolare, ha comprovato il diretto coinvolgimento di Romeo Vincenzo e i suoi sodali nella gestione degli apparecchi di intrattenimento, vale a dire slot machine e video lottery, nonché l’esercizio illegale delle scommesse on line sugli eventi sportivi. Anche in questo caso leader indiscusso è apparso essere Romeo Vincenzo, sul quale si accentravano tutte le decisioni e le scelte strategiche».

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