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Il comandante Burgio: in Sicilia c’è la coscienza civile antimafia

Il generale di Corpo d’armata racconta la sua esperienza al vertice del comando interregionale “Culqualber”

Il generale di Corpo d’armata dei carabinieri Carmelo Burgio

Nella sua infanzia, vissuta ad Alessandria della Rocca, piccolo comune nella provincia di Agrigento, la mafia era un’entità astratta e mitologica, come nel resto della Sicilia. «Semplicemente non esisteva», ricorda Carmelo Burgio, 63 anni, generale di Corpo d’armata dei carabinieri, promosso al vertice del comando interregionale “Podcora”, dopo un anno alla guida del “Culqualber” a cavallo tra Sicilia e Calabria. L’ultimo balzo (forse) di una carriera esemplare costellata di gratificazioni, tra delicate missioni all’estero e le trincee dell’antimafia, dalla Trapani dei Messina Denaro alla Campania dei Casalesi.  Nei primi anni Settanta Carmelo Burgio, allora quindicenne, lasciò quel comune siciliano di tremila anime per frequentare la “Nunziatella” a Napoli e poi l’Accademia militare di Modena. Oggi si ritrova alla guida di 23.000 carabinieri dislocati in cinque regioni (Lazio, Marche, Sardegna, Toscana e Umbria) e la mafia non è più una leggenda metropolitana: «Sì, c’è stato un radicale cambiamento nella coscienza civile, soprattutto in Sicilia. Allora i cosiddetti uomini d’onore ostentavano il loro potere, presidiavano le piazze dei paesi, non si nascondevano. Oggi non è più così. Lo Stato ha affinato il contrasto alle cosche, la legislazione ci ha consentito di avere strumenti per penetrare negli interessi delle organizzazioni criminali, i cittadini hanno acquisito consapevolezza e c’è più collaborazione. Non è vero che non cambia niente. Quand’ero piccolo il latitante si faceva vedere in paese, ora deve fare la vita della talpa».
Ma la mafia, nelle sue articolazioni geografiche, è ancora un potere solido e radicato.
Certo, il fenomeno è ancora una minaccia forte. Sappiamo come agire per contrastarlo. Però dobbiamo allargare l’analisi, un problema sociale non si risolve con i carabinieri. Tutti devono remare verso la stessa direzione: la scuola, il mondo del lavoro, la politica. Possiamo avanzare, sapendo che non ci sono soluzioni rapide. È un processo lento, si va avanti millimetro dopo millimetro.

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