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Camera penale di Messina, il neoeletto presidente Candido: "Saremo punto di riferimento per tutti gli avvocati"

Bonaventura Candido

L'avvocato Bonaventura Candido è stato eletto per acclamazione presidente della Camera penale di Messina per il prossimo biennio.

Avvocato Bonaventura Candido, come interpreterà il ruolo di presidente della Camera penale?
L’Unione delle camere penali ha ormai assunto la veste di soggetto politico di interesse nazionale. In questo contesto, ed in ambito distrettuale, interverremo nel dibattito pubblico sulla giustizia per offrire, soprattutto all’opinione pubblica, il nostro qualificato contributo di idee e di proposte. Saremo anche costante punto di riferimento per tutti i colleghi che riscontreranno criticità nel quotidiano esercizio delle loro funzioni e ci adopereremo, interloquendo costruttivamente con i capi degli uffici giudiziari e con i responsabili delle cancellerie, per porvi rimedio.

Quali sono le principali aree di intervento?
Cureremo l’aggiornamento professionale dei nostri iscritti, e la formazione dei giovani, avvalendoci, della collaborazione di autorevoli colleghi e docenti universitari. Promuoveremo, poi, l’attivazione di tavoli di confronto con i capi degli uffici giudiziari e con i responsabili delle cancellerie per individuare soluzioni alle problematiche che rendono difficoltoso l’esercizio delle nostre funzioni. Vigileremo in maniera particolare sulla corretta ed integrale applicazione dei protocolli d’udienza e saremo intransigenti nel pretendere il rispetto personale e professionale di tutti i colleghi.

Cosa pensa dello scandalo che, anche nel nostro distretto, ha recentemente colpito la magistratura?
La prima considerazione è che lo scandalo, tutto interno alla magistratura, ha purtroppo avuto effetti dirompenti su tutta la giurisdizione ed ha azzerato la fiducia che la gente comune riponeva nella Giustizia. Quanto emerso non ha destato in noi meraviglia. Tanti tra i magistrati sapevano e non hanno denunziato. Certe condotte, quindi, non possono essere semplicisticamente ricondotte alla responsabilità di pochi. Vanno invece ascritte al sistema e riguardano molti più magistrati che non quel ristretto numero recentemente interessato da procedimenti disciplinari.

Quali potrebbero essere i rimedi?
L’origine della degenerazione delle correnti sta tutta nella gerarchizzazione degli uffici giudiziari che ha generato la corsa agli incarichi direttivi, soprattutto nelle procure, che rappresentano ambite posizioni di smisurato potere. Gli incarichi direttivi dovrebbero, invece, essere a tempo, ed a rotazione tra “pari” dello stesso ufficio. Vanno poi abolite le “porte girevoli”. Il magistrato che entra in politica non deve poter tornare nella giurisdizione. Attualmente ci sono circa 400 magistrati, posti fuori ruolo, che esercitano funzioni, con le connesse retribuzioni, nei ministeri e su designazione della politica. Questa possibilità deve essere immediatamente esclusa. Non ci sono, poi, più ragioni per non dare corso alla separazione delle carriere. I nostri oppositori sostengono che in questo modo il pm verrebbe allontanato dalla giurisdizione. A costoro rispondiamo che l’effetto positivo sarebbe, invece, quello di allontanare il giudice dal pm.

Quindi si è aperta una fase di forte contrapposizione tra avvocatura e magistratura?
Assolutamente no. I magistrati vivevano su una torre d’avorio ora devono prendere atto dell’ineluttabilità di interventi di riforma radicale che scongiurino la reiterazione di certe condotte. Il silenzio, anche nel nostro distretto, dell'Anm e di tutti coloro che sono stati danneggiati dalla spartizione delle nomine è però preoccupante. L'avvocatura, tuttavia, ha interesse ad una magistratura, soprattutto quella giudicante, forte, autorevole e libera. Noi abbiamo il dovere di stringerci attorno ai tanti che intendono la giurisdizione come esercizio di un servizio e non di un potere. È necessario, però, che non abbiano più remore nel prendere le distanze da tutto ciò che emerso. A queste condizioni siamo pronti, nel rispetto dei ruoli, a fare squadra con loro e non faremo certo mancare il nostro sostegno a chi esercita fino in fondo, e con onestà intellettuale, l’autonomia del singolo magistrato e non quella della categoria.

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