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Felice Gimondi morto per un malore in mare a Giardini Naxos: uno dei più grandi del ciclismo

Felice Gimondi

Tragica fine oggi pomeriggio nelle acque di Giardini Naxos per il grande ciclista italiano Felice Gimondi. Il campione di ciclismo avrebbe compiuto 77 anni il prossimo 26 settembre ma ha trovato un drammatico destino ad attenderlo nel tardo pomeriggio a Giardini Naxos, nelle acque di Recanati.

A quanto pare Gimondi avrebbe accusato un malore mentre faceva un bagno nelle acque della seconda stazione turistica siciliana. Il malore avrebbe reso poi vano qualsiasi tentativo di soccorrerlo da parte dei bagni e del 118.

Sul posto è intervenuta la Guardia Costiera di Giardini che ha avviato gli accertamento del caso su quanto accaduto.

Gimondi, in vacanza insieme alla famiglia, era ospite di una struttura alberghiera di Giardini Naxos, la località turistica del messinese nei pressi di Taormina. Quando si è sentito male stava facendo il bagno. Nello specchio d’acqua è intervenuta anche una motovedetta della Guardia Costiera, ma tutti i tentativi di rianimarlo da parte dei medici sono stati inutili. L’ex campione italiano di ciclismo, che era sofferente di cuore, secondo i soccorritori sarebbe morto per un infarto.

Gimondi era uno dei ciclisti più famosi e amati. Capace di vincere in tutti i percorsi: in salita, a cronometro e in volata. È uno dei sette corridori ad aver vinto tutti e tre i grandi Giri: il Giro d’Italia (per tre volte, nel 1967, 1969 e 1976), il Tour de France (nel 1965) e la Vuelta a España (nel 1968). Nel 1973 è diventato campione del mondo.

Immenso, Felice Gimondi. Altro che "eterno secondo", come qualcuno l’aveva definito per quella lunga e durissima sfida con Eddy Merckx ed i tanti piazzamenti alle spalle del belga. Invece fu l'unico a resistere alla vena vorace del Cannibale Merckx, secondo in assoluto - dopo Anquetil - a completare la Tripla Corona nei Grandi Giri, campione del Mondo nel 1973 a Barcellona, padrone del pavé di Roubaix e delle insidie della Sanremo.

Gianni Brera, che ne descrisse le imprese, per lui aveva coniato i soprannomi Felix de Mondi e Nuvola Rossa. La sua carriera cominciò nel decennio dopo la fine di quella di Magni. Si presentò al Tour de France del 1965, vinse a sorpresa e solo l’indomani si dimise da postino, «perché al posto di lavoro ci tenevo» spiegò. Quel Tour, per l’esuberanza fisica e il modo spericolato di correre, è uno dei tre momenti fondamentali della sua carriera.

«Poi c'è il Giro del 1976 (il terzo vinto dopo quelli del '67 e del '69, ndr), quando in gruppo ero considerato un vecchietto, per la tattica e la gestione della corsa - raccontò lui stesso anni dopo - E il Campionato del Mondo (del 1971, ndr), per averci creduto fino in fondo anche sapendo di essere battuto», ancora una volta dal 'Cannibalè. Quello era un pò il motto di Gimondi, costretto ad arrendersi solo contro Merckx. Rimase a lungo la sua «delusione più grande» essere battuto dal belga a cronometro per la prima volta, al Giro di Catalogna: «Ho impiegato due anni a capirlo: Merckx era più forte di me». «Dietro alla sua ruota ci sarò» recita anche un verso della canzone che gli dedicò Enrico Ruggeri, «Gimondi e il Cannibale»,

L’ultimo giro d’Italia cui partecipò fu quello del 1978: si piazzò undicesimo, ma contribuì in maniera decisiva al successo finale di Johan De Muynck, che aveva battuto due anni prima, ora diventato suo compagno di squadra. Concluse la carriera su strada nell’ottobre 1978 partecipando al Giro dell’Emilia. Sotto contratto da professionista con la Bianchi-Faema anche nel 1979, ottenne come ultimo piazzamento, nel febbraio di quell'anno, il terzo posto nel campionato italiano di omnium indoor. Nelle quindici stagioni da pro vinse in totale 141 corse. Dopo il ritiro Gimondi fu direttore sportivo della Gewiss-Bianchi nel 1988, e successivamente, nel 2000, presidente della Mercatone Uno-Albacom, la squadra di Marco Pantani.

«Stavolta perdo io». Eddy Merckx ricorda il rivale-amico Felice Gimondi con parole di omaggio poetiche e allo stesso tempo di valutazione tecnica del campione che è stato. «Perdo prima di tutto un amico e poi l’avversario di una vita» spiega al telefono con l’Ansa. «Abbiamo gareggiato per anni sulle strade l’un contro l’altro - ricorda ancora il
fuoriclasse belga - ma siamo diventati amici a fine carriera. L'avevo sentito due settimane fa così come capitava ogni tanto. Che dire, sono distrutto».

«E' un colpo durissimo che mi lascia senza parole. Eravamo nemici sempre, ma c'era grande rispetto per l’uomo, per l’atleta e per il rivale». Così Gianni Motta, al telefono con l’ANSA, commenta la scomparsa di Felice Gimondi. «Con lui e ne va un pezzo della storia d’Italia e anche della mia - prosegue Motta -. Eravamo entrambi nati poveri e siamo cresciuti a forza di colpi sui pedali. Eravamo rivali, litigavamo - ricorda -. Una volta lo chiamai e gli dissi basta litigare, Felice, pensiamo solo a correre».

 

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