Si smorzano le luci, attori e comparse si ritirano dietro le quinte. Sul palco restano echi e stracci di una campagna elettorale convulsa e fangosa. Domani l’atto finale, non ci sarà il tutto esaurito, lo spettacolo è una farsa, come spesso accade nell’Opera dei pupi. Dissonanze esasperate, voci stridule “gorgogliando e sparando a ventaglio la coda, come tanti tacchini” (Pirandello).
La questione morale, calpestata e affogata nelle acque limacciose degli “impresentabili”, si è rivelata una pozione avvelenata che ha stravolto le sue radici autentiche, fondate sul rapporto tra potere, partiti e istituzioni.
L’ingorgo mina l’autonomia del bene comune e l’interesse collettivo diventa preda dell’impostura. La Sicilia non più laboratorio ma terra di conquista, colonia per testare il morale delle truppe, prova generale in vista della battaglia nazionale.
Ascari, mercenari e trasformisti, tutti in scena per il bottino da rovesciare nella trama delle Politiche. La campagna Trinacria come l’operazione Husky, lo sbarco degli Alleati in Sicilia. Genco Russo e Calogero Vizzini furono effetti collaterali, ci sta anche un moderno “impresentabile”. Caramelle e cioccolate agli indigeni che sventolano i fazzoletti al passaggio delle colonne. Ma allora le lacrime erano vere. In ballo c’era la democrazia, oggi il ponte sullo Stretto, lauta mancia del populismo che torna nelle baracche e affonda gli speroni nella paura di pelle nera.
Così le urne rischiano di rimanere semivuote, la metà del bicchiere è pessimismo, smarrimento, disillusione, strisciante qualunquismo. O consapevole afasia. L’altra metà è il voto utile, il meno peggio, il «turarsi il naso» di Montanelli o «stringersi fortemente il naso tra il pollice e l’indice» di Salvemini. Il voto è chiavistello, filo spinato per arginare le scorrerie. Minestra o finestra.
Centrodestra e Cinquestelle fiutano la possibilità di rivincita e sperano nell’onda lunga per espugnare Palazzo Chigi. Il Pd e i suoi satelliti sono attesi al verdetto dei numeri. L’ala sinistra di Mdp vuole costruire l’avamposto siciliano per mettere alle corde Renzi. Gli autonomisti agitano il vessillo dell’indipendenza. Ancora 48 ore prima di sigillare le urne con la volontà popolare. E già il puparo chiama in scena le nuove marionette, lucide nelle loro armature.
Il copione è pronto con le pietre nelle scarpe, le corde tese degli archi, i conti da regolare, le micce accese che consumano gli ultimi istanti della continuità territoriale. Il ponte sullo Stretto può tornare in soffitta.
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