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«Quella notte mia sorella Tania si è salvata per un miracolo»

«Quella notte mia sorella Tania si è salvata per un miracolo»

Alle 2,19 di quella notte, all’uscita dal “M’ Ama, Barbara camminava a fianco di un suo amico, dietro la sorella maggiore Tania, che invece avanzava a braccetto di un’amica. «Camminavamo lentamente – ricorda Barbara – quando sono stati esplosi quei 5 colpi di pistola e mia sorella è crollata a terra». Barbara ha accettato di parlarne con la “Gazzetta del Sud”. Forte della sua gioventù e anche della sua intensa esperienza – è capo dipartimento escursioni nella compagnia crocieristica Msc – ripensa con lucidità a quegli attimi terribili in cui ha visto la sorella cadere sotto una gragnuola di fuoco e rischiare di morire. Non ha potuto vedere, né lei né gli amici, chi ha sparato ed è poi fuggito a bordo dello scooter condotto da un complice.

– Cosa ricordi di quei primi istanti?

«Camminavamo tutti e quattro lentamente. Sentiamo gli spari che sono cinque, lei cade ma fa in tempo a dire «mi hanno sparato», poi perde subito i sensi. Io grido e chiedo aiuto, mia sorella è immersa nel sangue e io cerco in qualche modo di fermarlo, in molti non si rendono conto di quello che è accaduto, c’è chi crede che le siano stati esplosi contro dei fuochi d’artificio. Sono pochi minuti quelli che passano prima dell’arrivo dell’ambulanza ma sembrano un tempo infinito. Quando Tania è a bordo dell’ambulanza apre per un attimo gli occhi e dice agli infermieri: «Mi hanno rovinato ma questi spari non erano contro di me. Io non c’entro nulla».

– Chi vi è stato più vicino e ha prestato aiuto?

«Cercavamo di arginare il sangue. È arrivato subito un buttafuori del locale ed una donna che si è qualificata come infermiera e ha fatto tanto: non so il nome, ma aveva i capelli neri e un vestito blu. Poi è accorso un giovane dottore, che si trovava al M’Ama per ballare ed ancora un altro medico, pure lui giovane d’età: si sono anche loro impegnati, come potevano, in quel clima di terrore. Hanno portato dal “M’Ama” due rotoli di garza, contenuti in una cassettina, ma per ferite così devastanti non potevano bastare. Ricordo che un ragazzo si stava togliendo la cintura dei pantaloni per stringere al massimo possibile la gamba di mia sorella quando è arrivata l’autoambulanza: fondamentale la sua tempestività, se avesse tardato di qualche minuto Tania non ce l’avrebbe fatta».

– Anche al Papardo è stata una drammatica corsa contro il tempo...

«Mia sorella è entrata in sala operatoria alle 4 del mattino e ne è uscita alle 11.30. I medici sono stati bravi fin dall’arrivo. Ringrazio per tutti il dottor Brunetta che per primo ci ha rapidamente prospettato il triplice rischio che correva: le lesioni all’arteria femorale, l’infezione per le schegge dei proiettili, la frantumazione del femore. E naturalmente l’hanno operata per il primo, che era il più grave. L’intervento è riuscito, ma mia sorella è stata molto grave anche dopo. Aveva l’emoglobina a 4, rispetto al valore medio, che è 13. Domani, (oggi, ndr) la operanno per la ricostruzione del femore».

– Tania migliora lentamente, il peggio è ormai alle spalle: qual è il suo sentimento e quello della sua famiglia?

«Mia sorella è stata colpita da tre colpi di pistola ed è stata salvata sul filo dei secondi: per riprendersi pienamente avrà bisogno di tanto tempo e fisioterapia. I miei genitori sono così provati che non riescono a parlare. Siamo una famiglia religiosa: per noi Tania è stata miracolata».

– C’è qualcosa che la fa riflettere in questa folle vicenda e a proposito della movida di Messina?

«Mi resta un grande rammarico: forse, se veramente è stata una ritorsione per un mancato ingresso, i buttafuori avrebbero potuto intuire che quelli sarebbero tornati a vendicarsi... In generale, ci vorrebbero più pattuglie fuori dai lidi, magari anche in borghese e all’interno dei locali».

Un segnale di speranza... «Già sabato s’è svegliata e ho potuto parlarne 10 minuti. Oggi (ieri, ndr) sta toccando a mamma, papà e a ciascuno della famiglia: uno alla volta, massimo mezzora, per non affaticarla. Finalmente abbiamo potuto lavarle i capelli, erano ancora tutti incrostati di sangue, e ha potuto mangiare qualcosa. Ci ha chiesto un hamburger...».

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