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La tragedia di Lorena,
le ragioni di una sentenza

In coma la 23enne di Capo d’Orlando

«Al di fuori di ogni ragionevole rispetto delle regole della strada e della vita umana».

Forse le parole più vere della tragedia che ha portato via Lorena Mangano, la 23enne orlandina morta nell’incidente stradale del 26 giungo scorso su via Garibaldi, sono queste.

A pronunciarle è il giudice Salvatore Mastroeni, che ha depositato le motivazioni della sentenza con cui il 21 dicembre scorso ha condannato le due persone accusate di aver provocato tutto: il finanziere Gaetano Forestieri che travolse la Panda su cui si trovava Lorena, appena sbucata dalla via Torrente Trapani, e il pasticcere Giovanni Gugliandolo che stava gareggiando con Forestieri.

E sono 54 pagine di parole non soltanto prettamente giudiziarie, ma anche “pietre” che si scagliano contro il poco valore che la vita umana ha purtroppo assunto nei frenetici giorni nostri. Le motivazioni che spiegano quelle due condanne vanno oltre, sono un severo monito a tutti quegli “utenti” della strada che adoperano le proprie auto super elaborate come “pistole” di una roulette russa rivolte verso gli altri e non verso sé stessi. Quindi ecco alcuni passaggi di questa lunga, accorata e complessa sentenza, atto finale di una storia straziante in cui tutti gli “attori” volontari e involontari, hanno sempre vissuto con davanti agli occhi il volto di Lorena.

Le prove e le valutazioni

Dall’esame delle prove è emersa «... una ricostruzione certa e priva di interpretazioni alternative ma, nel contempo agghiacciante, della dinamica del sinistro».

Le riprese «... forniscono immagini, che il gip della misura definirà: nel contempo “difficili” da comprendere e da spiegare per chi le osserva, perché esse si pongono al di fuori di ogni ragionevole rispetto delle regole della strada e della stessa vita umana».

I due hanno «... ingaggiato una gara di velocità, una “sfida” che si è caratterizzata per una andatura a singhiozzo, avanti, indietro, affiancati, con anche azzardate manovre di sorpasso delle altre numerose auto presenti, effettuate a zig-zag e con momenti di folle velocita , incuranti entrambe del traffico veicolare e persino pedonale presente».

Gugliandolo e il suo ruolo: «... per quel che emerge dalle parziali ricostruzioni video e per le attendibili e dettagliate testimonianze (la sua condotta ai predetti semafori è nettamente evidente e significativa) ha solo visto l’incidente prima di arrivare al semaforo e ha perso la voglia del gioco e di passare col rosso».

La tragedia

Ecco la valutazione complessiva: «Alla luce di tutti i dati esposti, e delle valutazioni collegate, come si è detto, la responsabilità degli imputati appare provata oltre ogni ragionevole dubbio. Nel video in cui si vede una parte dello scontro fra l’auto omicida e l’auto della persona offesa, nel fotogramma di quell’istante vi è il momento più drammatico del fatto, documentato nel suo agghiacciante verificarsi. Ma tutti i video, acquisiti con sapienza dall’accusa, e visionati nello scorrere delle autovetture, fotografano, in chi guarda a posteriori, una marcia tragica e mortale (fatta più di gioco sinistro che di velocità pura) cui si immola, una piccola auto e una giovane ragazza, anch’essa ripresa nel presentarsi al suo destino di morte. E se i fotogrammi dello scontro individuano l’arma con cui è morta Lorena Mangano, un missile, un razzo, una macchina omicida che attraversava l’incrocio a folle velocità e con il rosso, disegnano anche, in una immagine di rara drammaticità, l’approssimarsi della macchinetta (il termine si usa con dolorosa tenerezza e plastica evidenza, rispetto alla “macchina” di morte) di Lorena al semaforo. A vederla più volte, fa impressione, sono gli ultimi attimi di vita, quel suo presentarsi al semaforo, e addirittura, essendo arrivata con il rosso o il giallo, ed avendo fermato l’auto qualche centimetro più avanti, il rispetto del codice della strada, il tornare indietro quella decina di centimetri, per poi ripartire con un verde legittimo ma che per lei è stato mortale».

L’omicidio stradale

Ecco le considerazioni sulla qualificazione giuridica, ovvero sul nuovo reato di omicidio stradale: «Ove restassero dubbi si consideri che il tema, degli omicidi stradali, dell’altissimo numero di essi, delle relative cause, è notorio e all’attenzione di tutti, non vi è cioè neanche spazio al non pensarci o al non “sapere”(sarebbe una assurda fictio) che si ha sotto i piedi un’arma potenzialmente mortale. La differenza con una pistola è semplice ma non favorevole nel caso di specie, salvo preconcetti superati. Se sparo con una pistola posso uccidere, se muovo l’enorme carro di una macchina ad altissima velocità contro una autovettura che legittimamente passa col verde, e figurarsi un passante eventuale, posso uccidere. Il preconcetto nasce che la pistola nasce per offendere e l’auto no, ma è l’uso consapevole che fa la differenza non la destinazione abituale: se sparo mille colpi in aria non uccido nessuno, se passo a 120 ad un incrocio col rosso uccido salva la fortuna che nessuno attraversi dall’altro lato con il verde. Né vi sono estremi di una abilità tale da dare speranza di uscirne vivi e fare uscire vive le vittime incolpevoli. Salvo ad accettare assurde prospettazioni di una dissociazione mentale o una mente che neghi la ragione, il rischio è prevedibile ed accettato, la sicurezza che non si verifichi non può esistere salvo che contino i desideri».

La “roulette russa”

E infine, un’amarissima conclusione: «Non ravvisa questo giudice una sostanziale differenza con la c.d. roulette russa, salvo il fatto che l’affidarsi alla sorte, nello sparare il colpo, non riguarda la propria nuca ma la nuca e la vita di un soggetto incolpevole».

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