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Mario e Gil: dopo vent’anni, noi ci sposiamo

Mario e Gil: dopo vent’anni, noi ci sposiamo

«Noi ci sposiamo il 3 settembre, ci farebbe piacere avervi». Mario e Gilberto sono emozionati, invitano gli amici a condividere quel giorno, insolito, speciale per loro come per chiunque decida di compiere questo passo. E non si sentono affatto “speciali”, anche se in realtà lo sono: saranno infatti i primi a chiedere in Comune di potere formalizzare l’unione civile tra persone dello stesso sesso, ai sensi della nuova normativa entrata in vigore lo scorso 5 giugno.

Mario Morizzi, 61 anni, messinese, e Gilberto Pereira Da Silva, 56, brasiliano di Rio de Janeiro, si sono conosciuti nel ‘93 in città. Vivide le loro storie, e ricche di umanità, di una positività così contagiosa da avere riunito intorno a loro un solido gruppo di amici, che affollano la loro casa e il negozio superglam di abbigliamento e accessori da donna («perché la bellezza è bellezza, e le donne sono splendide»): «Gli amici riempiono tutta la nostra vita. L’amicizia è forse la forma di amore più forte. Amicizia è libertà, senza giudizio, gelosia, possesso».

Storie straordinariamente diverse le loro eppure simili, anche prima che le strade si incrociassero per unificarsi, lasciando i segni di un tempo comune, che si notano sui volti solcati da espressioni simili, di chi ha vissuto le stesse gioie e dolori. Entrambi raccontano delle fidanzate dei tempi di scuola, del desiderio di indipendenza che li porta a lasciare da adolescenti le rispettive famiglie, cercandosi un lavoro per vivere. E dell’affacciarsi di una nuova consapevolezza di se: «ma non c’è mai stato bisogno di spiegare nulla a nessuno». Così è stato per Mario, un fratello, tre sorelle, e la mamma, «che, semplicemente, vedeva che avevo un compagno. E lo accettava». Tante le istantanee dall’album di Mario, diplomato in design e laureato in Lettere e Filosofia: la docenza alla scuola Albino Luciani, il volontariato alla casa di accoglienza di S. Maria della Strada, l’amicizia e la stima verso padre Franco Montenegro, il negozio di antichità e la carriera nel design d’interni, interrotta da un incidente. Gli occhi di quel ragazzo affidatogli dal tribunale dei minori e poi oggi saldamente tornato sulla retta via, il dolore per quel malato di Aids che nessuno voleva e di cui lui si prese cura ospitandolo a casa sua, «mentre tanti “amici” si allontanavano. Meglio così: quella è stata l’unica forma di “razzismo” che ho vissuto». E, indelebile nella mente, quel figlio che non ha mai conosciuto perché la fidanzatina dei tempi di scuola abortì di nascosto.

Niente outing nemmeno per Gilberto, anche se in un contesto ambientale più difficile. «Il Brasile è molto maschilista – ricorda – nonostante la sua apparente “apertura”. Devo dire che a Messina da questo punto di vista si vive molto meglio». La vena artistica porta Gil, che apparve anche come comparsa nella storica serie tv anni ‘80 Dancing Days, a coltivare – nonostante i veti paterni – la passione per la danza classica e il canto lirico, nella terra delle frenesie del carnevale, fino ad approdare in Italia, dove si trovava la mamma, sposata ad un calabrese. E poco dopo il trasferimento a Messina, Gilberto, allievo del maestro Bruno Tirotta, diventa apprezzato corista del Cilea di Reggio Calabria.

«Ognuno di noi può fare una rivoluzione, bisogna solo avere il coraggio di uscire allo scoperto. Molti invece anche in questa città si nascondono dietro moglie e figli. I pregiudizi forse stanno più in noi che negli altri – osserva Gil – Se tu non hai preconcetti non puoi diventare prigioniero degli schemi che la società tenta di importi. Ma questa sicurezza è frutto di un lungo percorso. Io sono stato aiutato dalla preparazione teatrale, e dalla fede buddista: se tu sei gentile, propaghi gentilezza. Non fare male a nessuno e nessuno lo farà a te».

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