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Corruzione alla “Fallimentare”,
sette indagati a Messina

Corruzione alla “Fallimentare”, sette indagati a Messina

È una brutta storia ancora soltanto all’inizio. È un’inchiesta “blindatissima” della Procura di Reggio Calabria, gestita dall’aggiunto Gerardo Dominijanni e dal sostituto Roberto Di Palma, che vede indagate sette persone con accuse gravissime che ruoterebbero tutte intorno alla Sezione fallimentare del Tribunale di Messina. Un’inchiesta rimasta sotto traccia per mesi, che adesso arriva al giro di boa della proroga delle indagini preliminari. Altri sei mesi quindi. E tra gli indagati in questa fase ci sono anche un magistrato, un tenente colonnello della Dia e un ispettore della Digos.

Sono tutti atti di un fascicolo “coperto” gestito per mesi dai magistrati di Messina, alle indagini hanno lavorato i carabinieri del Nucleo investigativo peloritano. Magistrati che quando hanno avuto contezza del presunto coinvolgimento del loro collega hanno inviato tutto a Reggio Calabria per la competenza incrociata ex. art. 11 c.p.p.; e da allora i primi sei mesi di accertamenti non sono bastati. Adesso infatti siamo di fronte a un atto di proroga delle indagini preliminari di altri sei, concesso dal gip di Reggio Calabria Adriana Trapani all’aggiunto Dominijanni e al sostituto Di Palma.

Alcuni nomi tra gli indagati a prima vista non dicono nulla, per quello che riesce a trapelare. Altri sono invece eclatanti, anche perché hanno un passato assolutamente cristallino di grande correttezza e professionalità.

Si tratta del magistrato messinese Giuseppe Minutoli, a capo della sezione fallimentare del Tribunale di Messina, del tenente colonnello dei carabinieri in forza alla Dia Letterio Romeo, fino a pochi mesi addietro capo della Sezione operativa di Messina e poi trasferito a Salerno, e dell’ispettore della Digos di Messina Nicola Spuria.

Ci sono poi l’imprenditore messinese Gianfranco Colosi, attivo nell’ambito della ristorazione e proprietario di alcuni locali in città, e altre tre persone: Francesco Biondo, 37 anni; Maria Spanò, 57 anni; Emilio Andaloro, 45 anni. Che ruolo abbiano rivestito nella vicenda questi ultimi tre indagati è ovviamente “top secret”, tutto è coperto da un riserbo strettissimo.

Le ipotesi di reato sono molto gravi. A tutti, eccezion fatta per Romeo, viene intanto contestata l’ipotesi di associazione a delinquere. Poi vengono addebitati a vario titolo - sia nell’ipotesi del reato consumato sia in quello tentato -, la corruzione in atti giudiziari (ex art. 319 ter c.p., solo al magistrato Minutoli), la corruzione ex art. 318 c.p. “per un atto d’ufficio” e quella prevista dall’art. 319 c.p. “per un atto contrario ai doveri d’ufficio”. Sono poi previste alcune ipotesi di abuso d’ufficio.

La cadenza temporale dei fatti, almeno da quello che si comprende in questa fase “coperta”, è da ricondurre tra il primo luglio e il 22 settembre del 2015, ma le ipotesi di reato vengono definite “tuttora permanenti”.

Cosa sarebbe successo alla Sezione fallimentare del Tribunale di Messina tra il luglio e il settembre del 2015? Come è prospettato il coinvolgimento dei vari indagati? Ci sono dei giorni specifici indicati che fanno per esempio pensare ad alcune “agevolazioni” di cui potrebbe aver goduto l’imprenditore Gianfranco Colosi nell’aggiudicazione di aste per l’acquisizione di locali e bar, oppure di una ipotetica “rete” composta dagli indagati per favorirlo, visto che a quanto pare il personaggio principale dell’inchiesta sarebbe proprio lui, con la sua recente attività di acquisizione di locali e bar. Ma sono soltanto ipotesi. È una storia ancora lunga.

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