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Non concessi i domiciliari all’on. Genovese

 Il deputato messinese del Pd Francantonio Genovese resta in carcere, dove era tornato il 15 gennaio scorso perché indagato nell’inchiesta della Procura di Messina denominata “Corsi d’oro”, sulle truffe alla Regione nell’ambito della formazione professionale. Nella tarda mattinata di ieri i giudici della prima sezione penale del tribunale di Messina – il collegio che dal 25 febbraio prossimo gestirà il processo sulla seconda tranche dell’inchiesta, che vede coinvolto tra gli altri anche Genovese –, hanno depositato il provvedimento di rigetto dell’istanza che il 15 gennaio stesso aveva presentato uno dei suoi legali, l’avvocato Nino Favazzo. Sono in tutto tre pagine, in cui si affronta la questione sotto vari punti di vista. Scrivono per esempio i giudici che in questa vicenda «...alla luce della recentissima decisione del Supremo Collegio (la decisione della Cassazione, n.d.r.), si è formato il cosiddetto “giudicato cautelare”, superabile soltanto con il sopravvenire di fatti nuovi di rilevanza tale da incidere sulla consistenza del giudicato medesimo». E per altro verso, scrivono ancora i giudici «... che elementi di novità non sono ravvisabili nelle circostanze evidenziate dall’istanza, che ripropone, sostanzialmente, questioni già oggetto di valutazione in sede impositiva e nei provvedimenti successivi rilevabili dagli atti». Il collegio della prima sezione presieduto dal giudice Silvana Grasso cita anche la precedente decisione del gip che aveva affievolito il regime di arresti domiciliari, e giudica «... irrilevanti, sotto il profilo della novità, ai fini della modifica del quadro cautelare, le autorizzazioni del gip a specifici spostamenti senza scorta o contatti con terzi, così come la revoca del divieto di comunicazione imposto all’atto della applicazione degli arresti domiciliari con persone diverse da quelle coabitanti con il prevenuto intervenuti nel corso della esecuzione della misura degli arresti domiciliari». C’è poi un profilo legato strettamente al quadro cautelare, e cioé «... la sostenuta rescissione dei rapporti fra l’imputato e gli enti di formazione ed il venir meno degli accreditamenti degli stessi presso la Regione Sicilia», che è una delle argomentazioni difensive per richiedere l’affievolimento della custodia in carcere. Secondo i giudici questa circostanza «oggetto di specifica valutazione da parte del TdL confermata dalla Suprema Corte» allo stato degli atti «ha consolidato la condizione cautelare dell’istante nel presente procedimento e determina effetto preclusivo rispetto a qualsiasi rivalutazione di quanto già oggetto di esame». Ed infine un’altra argomentazione riguarda l’incastro temporale di questa vicenda, con la custodia in carcere che giunge dopo ben otto mesi dall’esecuzione spontanea del parlamentare della misura restrittiva, dopo il voto alla Camera per l’autorizzazione a procedere (eravamo a maggio scorso). Secondo i giudici, «nessun rilievo assume, al medesimo fine, il decorso del tempo trascorso in regime cautelare», che «non può costituire, isolatamente considerato, elemento nuovo idoneo ad elidere o ridimensionare le esigenze sulle quali si è formato il giudicato cautelare». 

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