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Messina, Giulia “store manager” da Harrods a Londra: “Rimboccarsi sempre le maniche”

Classe 1991, diplomata al La Farina, tanta gavetta e anche delusioni, ma ora è felice

«Andare all'estero ti fa vedere chiaro. E quando vai via ti rendi conto di cosa potrebbe cambiare se tutti avessimo gli stessi occhi. Oggi, però, dico che non faccio un biglietto di ritorno perché sono realmente indipendente». Giulia Grifò, store manager, classe 1991, ha lo sguardo di chi vorrebbe vedere una nuova Messina e il passo invece di chi si è dovuta rimboccare le maniche per trovare opportunità fuori, nel Regno Unito. Prima che la Brexit chiudesse o limitasse bruscamente sogni e opportunità. «Sono di Messina città – racconta Giulia – anzi, di Messina “Panoramica dello Stretto”. Ho studiato al liceo classico la Farina in un periodo in cui l'antagonismo con il Maurolico era vivissimo. I ricordi di quella stagione di vita li custodisco gelosamente nel cuore: facevo le occupazioni, dormivo a scuola, e avevo perfino disegnato sui muri».

I primi passi

In piena adolescenza il sogno era uno, fare l'attrice: desiderio coltivato anche grazie ad un laboratorio teatrale frequentato a scuola per ben 3 anni. Ma tra le mura domestiche ci si chiedeva se fosse opportuno o se era meglio virare altrove. «Dopo la maturità – continua – mi confrontai con tutte le mie passioni: la recitazione e soprattutto la storia dell'arte che a scuola amavo tantissimo grazie anche ad un bravissimo docente che mi incoraggiava con ottimi voti. E, dopo un confronto con mamma su possibilità e prospettive, sono andata a studiarla all'Università Cattolica del Sacro Cuore. La specializzazione era proprio “management dei Musei”».
Giulia si è ritrovata a lavorare anche al Castello Sforzesco, uno dei simboli iconici di Milano, in due momenti diversi e con due tirocini. Uno fatto da studentessa e l'altro fresca di corona d'alloro quando hai voglia di mettere a frutto tutte le competenze maturate e divorate sui libri sottolineati . E tra le esperienze fatte ne annovera una in particolare: quando si è occupata di catalogare i calchi in gesso di proprietà del Comune che dovevano essere ancora inventariati e che facevano parte del muro del castello ai tempi degli Sforza. E gli allestimenti della mostra su Leonardo Da Vinci: «Senza dubbio è stato un periodo molto interessante. Facevo le mostre, con il ruolo di “assistant curator”, assistente della curatrice, che al tempo era Laura Basso. Ho conosciuto tanti professionisti ma era un ambiente un po' vetusto, dove si percepisce immediatamente che non c'è molto spazio per i giovani. E quando il mio contratto è scaduto dovevo rimboccarmi le maniche e non potevo certamente chiedere aiuto ai miei mentre cercavo qualcosa da fare. Soprattutto se questo tempo si prospettava lungo».

Il ritorno

Monza, Pavia, Padova... erano oggetto di ricerca estenuante, ma le paghe, pari a circa 400 euro, avrebbero scoraggiato chiunque, considerando che non era possibile pagarsi un affitto, nemmeno in condivisione. E così la nostra concittadina è tornata in riva allo Stretto. Con i suoi studi e i suoi buoni propositi: «Non è stato il periodo migliore della mia vita. Ho cercato ovunque – ricorda – ed ero disposta pure a lavorare gratis pur di mettere qualcosa sul mio curriculum vitae. Ma alla fine mi sono adattata e ho cominciato a lavorare nei lidi sulla litoranea e perfino in un sushi bar, facendo finta di essere una sommelier esperta. E alla fine di questa esperienza la proprietaria mi prospettò pure un buon contratto, ma mi chiesi se era giusto accettare o lasciare il mio paese perché avevo capito che in Italia nei musei mi avrebbero fatto lavorare gratis. E nel frattempo studiai inglese».

Il volo per Londra

Da Messina a Londra il passo è stato deciso, anche se la prima settimana, appariva abbastanza lenta. E il pallino fisso era quello di trovare un onorato lavoro nei musei: «Mentre seguivo il” piano A” cominciai a lavorare al “Mc Donald's” sotto casa. Il mio ruolo? Training manager, ovvero, dovevo assicurarmi che il personale fosse formato al meglio e che gli venissero dati tutti gli strumenti necessari. I pianti non mancavano perché mi ripetevo che ero partita per inseguire un sogno e mi ero ritrovata a fare qualcosa che era lontano dal mio background». Giulia, però, pian piano, capì che anche il sogno del Museo stava sbiadendo e che anche lì regnavano le cariatidi che sbarravano la strada.
«Non mi sono persa d'animo e mi sono spostata nell'ambito del retail. Ho lavorato dapprima da Zara come commessa e piegavo, come si suol dire i pantaloni sui tavoli, ma sono stata promossa come manager molto presto. Una bella soddisfazione. Dopo 2 anni e mezzo mi sono spostata in “Selfridges”, catena britannica di grandi magazzini, e qui ho cominciato a lavorare come “assistent manager”. E alla fine, per arrivare alla vita presente, sono stata promossa come “store manager” in Harrods. La cosa curiosa? Da quando lavoro qui ho ricevuto tantissime offerte di lavoro dal mio Paese. E la cosa triste è che se avessi cercato questo tipo di lavoro con la mia laurea e l'esperienza italiana non mi avrebbe preso nessuno. Ora invece potrei tornare perché nel Regno Unito ho acquisito tante competenze».

La malinconia

Giulia oggi ammette di essere soddisfatta anche se ci sono dei momenti in cui arriva la malinconia: «Per stare bene ricostruisci un microcosmo con le persone che hanno condiviso la tua stessa esperienza. A lavoro non mi limito a vendere abbigliamento per donna ma ascolto le storie più disparate che mi arricchiscono. E mi rendo conto che comunque è una fortuna aver ricevuto contratti a tempo indeterminato. Cosa che nel nostro paese sembra una chimera». E rivela che alla fine aveva pure trovato lavoro nei musei ma non è potuta tornare indietro perché gli stipendi alla fine erano troppo bassi: «Oggi dico va bene così. Purtroppo la Brexit ha chiuso un po' le frontiere e partire come prima è impensabile. E forse il mio rammarico più grande, considerando che ora assumo, è non poter dare una chance ai miei connazionali che si ritrovano a barcamenarsi tra un futuro incerto e tanto precariato».

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