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Autismo a Messina: drammi e speranze. E un "rifiuto" che deve diventare accoglienza

"Un pranzo vero con i miei amici; avere in regalo venti borsette; sorridere sempre; non sputare più a papà, e neanche alla mamma, e a nessuno al mondo; avere amore per me e per gli altri; sentire che mio fratello parla e dice buon Natale; stare con la mia mamma e con tutti voi; continuare a camminare per sempre; fare stare serena mamma; non mordermi più la mano; essere meno pigra; fumare di meno e lavorare di più; fare una partita di calcio un giorno". Un giorno in cui la tetraparesi e la sedia a rotelle saranno solo un ricordo.

Desideri disarmanti, parole che lasciano intravedere l'abisso e il ritorno, stilettate che trafiggono e fanno ammutolire chi ascolta. Che irrompono, sparigliandolo, nel Natale patinato e normodotato di chi saltella - covid permettendo - tra regali eclatanti, vacanze emozionanti, look scintillanti, mete esaltanti.

Sono i desideri espressi da ragazze e ragazzi di Namastè nel video pubblicato sulla pagina social della cooperativa, con voce sciolta o con parole pronunciate solo col pensiero, e decifrate dall'amore; tenendosi per mano, quando gli spasmi articolari lo consentono; con i visi teneri, diversamente amabili, segnati da un'ardua esistenza trascorsa cercando una dimensione, e un luogo in cui viverla adeguatamente. Un luogo non troppo vicino al mondo "ordinario", oggettivamente non preparato ad accogliere, ma neanche troppo lontano. Un luogo non troppo affollato, ma neanche troppo solingo. Perché nulla ha il giusto equilibrio e la corretta distanza, quando l'autismo o una disabilità psicomotoria rendono impervie anche le azioni più semplici, scardinando tutte le dinamiche relazionali.

Questo luogo della ritrovata alchimia esistenziale per molti è Namasté, la villa di Caltagirone in cui – nel segno del saluto orientale di pace e accoglienza - l'omonima cooperativa sociale ha realizzato una residenza per giovani con difficoltà. Grazie al prezioso contributo di donatori, di famiglie e di personaggi famosi come Carmen Consoli & Friends - artisti del calibro di Elisa, Max Gazzè, Samuele Bersani, Marina Rei, Bandabardò, Daniele Silvestri e Mario Venuti, che in un memorabile concerto nel 2019 hanno raccolto fondi per sostenere il progetto - Namastè offre un posto abitato dall'affetto, animato dalla sua fondatrice Laura Boria, un ambiente protetto in cui ciascuno può sbocciare, a suo modo.

Gli ospiti provengono da diversi centri per lo più del Catanese: tra essi c'è anche il messinese Simone Currò, al quale, dopo il percorso scolastico felicemente completato al Liceo artistico Basile, la sua città e la sua provincia non hanno più avuto nulla da offrire, nulla che fosse adeguato a lui e al suo vissuto difficile di bambino e adolescente con autismo. Sono fortunati, i ragazzi e le ragazze di Namastè: non lo sono invece molti, moltissimi altri che - appunto anche nella vicina Messina – una volta diventati adulti trovano solo porte chiuse. A quelle porte bussa continuamente il papà di Simone, Pino Currò, presidente dell'associazione di familiari Il Volo e coordinatore del Tavolo tecnico autismo istituito al Comune.

Currò nei giorni scorsi ha scritto per l'ennesima volta a tutti i soggetti istituzionali coinvolti, con in testa appunto il Comune e l'azienda sanitaria, per sollecitare un seguito concreto all'incontro promosso circa un mese fa proprio dall'assessora comunale ai servizi sociali Alessandra Calafiore, persona di grande sensibilità umana e istituzionale. L'auspicio è una unità di intenti, tra le istituzioni ma anche nella rappresentanza delle famiglie, che consenta di offrire alle persone con autismo un "progetto di vita" autentico e non limitato ad una documentazione formale.

Le famiglie abbandonate dei ragazzi "rifiutati"

Un'esigenza che si profila in tutta la sua urgenza adesso, dopo lo sconcerto del lockdown che ha aggravato drammaticamente condizioni già preoccupanti di disagio esistenziale, con l'impellente necessità di stabilizzare un percorso di crescita che deve necessariamente tenere conto delle note necessità terapeutiche e riabilitative, cui si aggiungono le indispensabili misure derivanti dalla "convivenza" con la pandemia.

E tra "volti attoniti e silenzi interminabili" sottolinea Currò "i nostri ragazzi maggiorenni continuano a pagare il prezzo più alto e sono gli esclusi di sempre. Finita la copertura delle scuole superiori sono in balìa di nessuno. Non vi è alcuna continuità terapeutica. Solo queste cose diffusamente risapute dovrebbero far rabbrividire e vergognare tutti. Mio figlio di 21 anni, e non solo il mio, è stato rifiutato da due centri privati, con la giustificazione che non sono attrezzati a trattare i ragazzi autistici. Per fortuna ho potuto inviarlo per due mezze giornate settimanali al Centro Diurno di Nizza Sicilia. Ma poi ho dovuto rinunciare anche a questo servizio. In quanto nessuno di noi due genitori era in grado di accompagnarlo, neanche fino al pulmino, né mia moglie né io per gravi problemi di salute. Non esiste ancora la figura del Caregiver e del Compagno Adulto di supporto e neanche quella di un amico. Così abbiamo dovuto ancora una volta fare ricorso ad una struttura residenziale privata in provincia di Catania, che ha accolto di recente ancora una volta mio figlio. Per fortuna che esistono e che lui è stato ben accolto. Non è specializzata in materia. Ma, almeno, gli vogliono bene".

La realtà delle famiglie con persone affette da autismo è proprio questa e per i piccoli non va meglio: la diagnosi precoce funziona abbastanza bene, poi con enorme sconcerto dei diretti interessati si apre una specie di baratro in cui si viene lanciati senza paracadute. Si fatica enormemente per trovare un supporto terapeutico specializzato, con una minima offerta pubblica (ormai demandata solo all'Asp, dopo la chiusura del Programma Interdipartimentale del Policlinico) e percorsi nella sanità privata convenzionata o liberoprofessionale (per trattamenti specializzati come ESDM, ABA, logopedia, psicomotricità) cui si accede o con lunghe liste d'attesa o con un esborso economico che pochi possono permettersi, pur se a fronte di standard qualitativi elevati. La scuola, peraltro - pur nell'impegno e nello sforzo personale in un ambiente preziosissimo e per molti bambini e ragazzi unico luogo di incontro - sconta anche nel trattamento dell'autismo i disservizi generali dell'insegnamento di sostegno, con carenze preoccupanti nella competenza e nella continuità che si riflettono pesantemente sui risultati didattici e relazionali. La socialità individuale e familiare, poi, viene sostanzialmente travolta e annientata se non si fonda su solidi rapporti lavorativi e interpersonali. Un mix devastante, che fa perdere il tempo prezioso dell'età evolutiva (un tempo che non torna, vanificando del tutto i principi del trattamento precoce) e fa sprecare quello dell'età giovanile e adulta.

Tante risorse, sulla carta

Eppure sulla carta c'è tanto: la normativa garantisce alle persone con disabilità una continuità terapeutica e un Piano di Vita Individuale (art. 14 della legge 328) che dovrebbe compendiare efficacemente tutti gli strumenti offerti per esercitare paritariamente il diritto a studiare, formarsi, informarsi. A crescere e dare il meglio di se, contribuendo per quanto possibile alla comunità di appartenenza. La Sicilia, inoltre, si è dotata di un corposo e dettagliato Programma unitario sull'autismo, introdotto con un decreto dell'assessore alla Salute Ruggero Razza del 2019 che inserisce nella programmazione sanitaria regionale le strategie volte ad affrontare la patologia da spettro autistico con strumenti concreti. Destinando innanzitutto le risorse: lo 0,2 per cento dei bilanci delle Asp va riservato a questo scopo, inoltre si delinea la rete integrata dei servizi sul territorio, fra Centro autismo pubblico e Centri diurni o residenziali per l'autismo. Si traccia uno straordinario quadro di inclusione e supporto delle potenzialità anche in accezione lavorativa dei soggetti con autismo ai quali ci si vorrebbe sforzare di garantire una vita indipendente . Il tutto soggetto a relazione annuale e configurato tra gli obiettivi strategici per i direttori generali delle Asp, quelli il cui mancato raggiungimento può addirittura comportare la decadenza dall'incarico.

Per non parlare delle previsioni contenute in altri atti normativi: la legge nazionale del 2016 sul "Dopo di Noi", volta a realizzare una rete di supporto per i soggetti con disabilità grave rimasti privi di familiari, e poi le ipotesi di Università per l’Inclusione, le figure del Caregiver - il familiare o collaboratore, che deve essere adeguatamente supportato nella difficile quotidianità - del Compagno Adulto - un "amico speciale", uno psicologo o soggetto con competenza specifica che agevoli l'inclusione - e nell'ambito istituzionale il Garante per la Disabilità e la Consulta comunale per le Disabilità, con compiti di sorveglianza e impulso. Tutto però - nonostante alcuni esempi di sforzo istituzionale spesso isolato e comunque ancora insufficiente - è rimasto sulla carta.

Un dovere morale, un dialogo possibile

Tanti i soggetti coinvolti, chiamati a vario titolo a contribuire: l'Azienda sanitaria provinciale e il Comune, innanzitutto, per gli aspetti strettamente medici e socioassistenziali, ma anche ovviamente il mondo della sanità pubblica e privata, della scuola, dell'università, della ricerca, dell'associazionismo. Tutti interlocutori preziosissimi, ma spesso non dialoganti, da armonizzare attraverso una cabina di regia unica: non uno dei tanti "tavoli parlanti", ma una struttura operativa che impieghi risorse umane e finanziarie.

In questo momento, peraltro, una prospettiva di rilievo si schiude regalando speranze a Messina con l'acquisizione da parte della Città metropolitana del complesso dell'ex Città del Ragazzo a Gravitelli, che potrebbe ospitare strutture diurne e residenziali dedicate, mentre parallelamente all'Istituto Marino di Mortelle prende corpo il progetto "Interpares" del Cnr, che alla riabilitazione tecnologica innovativa associa la prospettiva di inclusione sociale attraverso la previsione di borse lavoro. Perché l'obiettivo non può essere ghettizzare né tantomeno mescolare indistintamente, ma avvicinare quanto basta, per garantire vera integrazione e accoglienza.

Gli strumenti esistono e anche le risorse, e non dovrebbe essere necessario un obbligo di legge – che pure sussiste – per garantire a persone obiettivamente svantaggiate i mezzi per colmare i gap e avere pari opportunità, all'interno di un percorso inclusivo in corretto equilibrio tra diversità e omogeneità. Perché la vera uguaglianza non è omologare, ma trattare in maniera diversa situazioni che uguali non sono.

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