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Vasco a Messina: "Amo profondamente la Sicilia". LE IMMAGINI COL DRONE

«Finalmente!». È la parola della serata, la parola dopo la notte. La parola delle parole: «Benvenuti, ben ritrovati, bentornati. Finalmente... finalmente di nuovo insieme a Messina!». Si è percepito dalle prime battute che questo Vasco sarebbe stato il meglio di sempre. Che avrebbe scaricato sui quarantunomila del San Filippo tutta la carica accumulata in due anni spenti. Che avrebbe ballato e cantato, lanciato e raccolto. Che non avrebbe perso il tempo, il Vasco che ha fatto pace con «le malinconie, le nostalgie, persino i rimpianti». Che tra la collezione di giubbotti e allusioni, tra chiodi sulle spalle e reggiseni sulle chitarre... si sarebbe portato sul mega palco settant'anni senza età.
Vasco è così. Semplice senza essere facile, complesso senza complicarsi. È un artista vaccinato («tre volte!»). Passa dalla disco anni 80 all'intimità del cantautorato, è elettrico ed acustico. Va al mondo virtuale dei social e poi torna alla realtà perché, seppure c’è chi dice no, «È stato un periodo di divisioni, troppi commenti e pochi contenti. Sono importanti le opinioni di tutti e i giudizi di nessuno. Ascoltiamoci». Ascoltiamolo.
Sulla musica che gli vuoi dire? Suono che rompe il muro, assordante e pulito, corale e distinto nei suoi undici elementi. «Un uomo da cui ci sarebbe tanto da non imparare, il trasformista, il Gallo, fa la guest star. C’è il nuovissimo numero di acrobati del pentagramma ai fiati. La domatrice, cantautrice, attrice, produttrice… Beatrice (Antolini). Grandi doti di stabilità e armonia, è l'equilibrista bassista Andrea Torresani. Un numero internazionale, un giocoliere, coi rulli di tamburo fa sognare, alla batteria... Matt Laug. Volteggiano tra tasti bianchi e neri, come diavoli volanti alle tastiere Alberto Rocchetti e Frank Nemola».
Ma che circo sarebbe senza la magia? Abracadabra, arrangiamenti più direzione musicale: l’Houdini della chitarra, mister Vince Pastano. Infine il fantasista. C’è fuoco sul manico di Stef Burns. Dalle chiavi al ponte, su ogni capotasto. In un assolo fa «l’amore, l’amore» col suo strumento e si becca pure il bacio che il Blasco gli stampa sulle labbra (ormai è un rito diffuso pure quello). «Amo profondamente la Sicilia, tutto il Sud, (anche tutto il Nord e il Centro). Ma la Sicilia è straordinaria, voi siete fantastici. C'è una bellezza diffusa che non c'è da nessun'altra parte. Tante belle femmine non le avevo ancora viste, i maschi li guardo poco… o forse no. Cominciamo a diventare fluidi io e Stefano».
Senti che bel vento... c'è un'aria fantastica, si sta benissimo a Messina. Lo Stretto soffia il giusto, e porta al di qua i ricordi di una Canzone che suona come «un saluto a quelli che se ne sono andati prima del tempo e vivono dentro di noi». E la mente scorre fino a Massimo Riva e oltre. Fino alla guerra. «Fanculo la guerra. Noi non vogliamo la guerra. Noi vogliamo vivere in pace. Tutte le guerre sono contro l'umanità. Tutte le guerre sono contro la civiltà, tutte le guerre sono contro i bambini, le donne, gli anziani. Fanculo. La musica è contro la guerra, stasera facciamo musica contro tutte le guerre. Dove c'è guerra non c'è musica e dove c'è musica non c'è guerra». Dopo tutto, ci può essere un senso anche senza parole. Eppure lui ci ritorna: «Sono felice, ho portato il mio spettacolo anche in Sicilia. Un traguardo attraversare il mare con questo palco. E ne vale la pena venire a trovarvi. Cosa non darei per vivere su un’isola?!».

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