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Le Barette a Messina, storia di una tra le tradizioni più amate in città FOTO

Cultura e tradizione si fondono in un lungo cammino volto a celebrare la Passione, la Morte e la Resurrezione di Cristo nei riti della Settimana Santa. Una storia travagliata, rivissuta nella processione delle barette, adorata e seguita dai messinesi in un evento unico per la città e per i fedeli che ha origini antichissime.

La storia della principale manifestazione religiosa del periodo pasquale a Messina, come ci ricorda lo scrittore Silvio A.P. Catalioto, autore del volume “Storia della processione delle Barette”, fu introdotta dagli spagnoli nel XV secolo e coinvolse le confraternite, gli ordini religiosi, il Senato, l’aristocrazia e gran parte della cittadinanza. Le Barette, (storpiato dialettalmente in “Varette”) trovano riferimento nelle origini del corteo religioso del giovedì notte. Fercoli portati a spalla per le strade cittadine, in una delle quali tutta di vetro è contenuto il simulacro del Cristo Morto.

Le radici delle tradizioni risalgono addirittura al 1550 quando fu costituita la Compagnia del SS. Rosario nella sede dell’Oratorio dei SS. Cosma e Damiano, ceduta dalla confraternita dei medici, che a loro volta l’avevano fondato nel 1500. La chiesa era inserita nel perimetro del convento di S. Domenico, nella contrada dei Gentiluomini e la confraternita era chiamata “dei Bianchi” perché i confrati vestivano una divisa bianca. Ed è nel 1595 che i Confrati di S. Maria della Mercede, assieme ai PP. Mercedari, organizzano nella mattinata della Domenica di Pasqua la Processione della SS. Vergine e del Cristo Risuscitato.

Il Padre Gesuita Placido Samperi, nella sua Iconologia della Beata Vergine (1641), fornisce una dettagliata descrizione della processione delle Barette con un racconto colorito e pieno di devozione. “La processione aveva inizio la mattina presto del Giovedì Santo, quando per le strade della città uscivano quattro Ministri, con le cappe nere toccate di bianco e i berretti neri con veletti d’argento, e con strumenti di legno nelle mani, come si usava a quel tempo, per fare rumore e farsi sentire dal popolo, annunziando la processione notturna. Verso le nove di sera seguiva la processione vera e propria: il primo gruppo di confrati usciva alla luce delle torce e accompagnata dal rullio dei tamburi reggendo un grande stendardo nero, i cui capi erano sostenuti da due confrati, che li fiancheggiavano a destra e a sinistra, seguiti da altri quattro che reggevano grosse torce a vento poste in cima a delle aste. Per devozione il gruppo procedeva a piedi scalzi.

Al secondo gruppo appartenevano un certo numero di ragazze, provenienti dal Monastero delle Figliuole (Biancuzze), che fiancheggiavano la statua dell’Addolorata. Erano disposte in fila per due ed avevano in testa una corona inserita sui capelli sciolti e portavano in una mano la torcia accesa, e nell’altra un “misterio della Passione del Signore”, intonando in coro inni e madrigali conformi al triste evento rappresentato. Subito dopo vi erano i confrati che reggevano la Bara che rappresentava la Vergine Santissima con il suo dolcissimo Figliuolo morto e un altro con una gran Croce accompagnata da altri quattro che reggevano altrettanti torcioni.

Seguivano nell’ordine altre cinque Bare dei cinque Misteri dolorosi, con l’ultima Bara di cristallo, in cui giaceva il Cristo morto, portata a spalla dai Padri Domenicani. In ciascuna di queste Bare erano poste una gran quantità di candele accese che, scacciando le tenebre, rendevano molto luminosa la notte. Seguivano altri confrati con quattro torcioni a vento e sei Ministri con le cappe che reggevano altrettante fiaccole portate nelle solite aste, accompagnati da un coro di musici, con le loro cappe e lanternine, che cantavano inni sacri e madrigali intorno alle Bare cui erano assegnati.

La Processione usciva dal portone dell’Oratorio della Pace e percorreva la Strada dei Templari, svoltava nella Strada dell’Oratorio S. Francesco, attraversava la strada della Correria e percorreva quella dei Librai, in Piazza Duomo. In questo luogo avveniva la benedizione da parte dell’Arcivescovo. Dopo questa sosta la processione riprendeva il suo percorso seguendo la Strada Austria o Nuova, scendeva per la Strada dei Vetrari e si immetteva nella Strada dei Banchi, girava per la Strada del Carmine e si immetteva nella Strada dell’Uccellatore, indi saliva per la Strada dei Cartolari e si immetteva nella Piazzetta di S. Domenico e quindi nella Strada dei Templari per rientrare nell’Oratorio.

L’assessore alla Cultura e alle Tradizioni Popolari Enzo Caruso, che ha lavorato in sinergia con le Confraternite, si è prodigato per riportare agli antichi fasti le secolari processioni del Venerdì Santo e della Domenica di Pasqua. «L'obiettivo – ha esordito Caruso – è quello di riprendere una tradizione interrotta dalla pandemia e arricchirla di componenti che nel tempo erano andati smarriti. Proviamo a riportare in auge una manifestazione che vanta circa 500 anni di storia meravigliosa, tramandata dagli spagnoli e fatta propria dalla cittadinanza».

- A quali elementi si riferisce?
«Abbiamo deciso di eliminare la filodiffusione e, in accordo con l'associazione Anbima, abbiamo riportato la musica con sette bande dal vivo. Questa tipologia di musica aiuta a compenetrarsi nel clima tipico della Passione. Altre figure penitenziali come i Babbaluci" e le "Biancuzze" e il nuovo inserimento delle pie donne “Maddalene” e tipici strumenti musicali come le traccole».

- Per domenica, invece, cosa ci dobbiamo aspettare?
«La festa degli Spampanati associa la Resurrezione alla Primavera. Le donne che accompagnavano la processione un tempo indossavano vesti colorate. Infatti quest'anno la confraternita distribuirà per l'occasione cappellini dai mille colori ai bambini e reintrodurrà durante l'incontro di Gesù Risorto e la Madonna, che avverrà a Piazza Duomo alle 10.15, l'antica tradizione della caduta del mantello nero di Maria alla vista del figlio risorto. Poi il simbolico volo delle colombe».

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