Le viscere terremotate di Messina si aprono ancora per restituire pezzi sparsi della sua storia, tra un cantiere e l’altro, la ragnatela temporale delle sue età più disparate che emerge di continuo. Questa volta tocca a largo Zaera, un’area che in un’epoca non troppo lontana rappresentava l’ultima lingua abitata di città. Memorie di un sottosuolo ancora troppo inesplorato.
Ieri mattina, nella prima vera giornata di questa strana e grigia estate, al cantiere del nuovo mercato comunale l’attività di scavo proseguiva per comprendere, dopo i primi step del mese scorso, di fronte a quale scoperta siamo. Probabilmente si tratta di una serie di muraglioni che risalgono all’Ottocento, forse con qualche impianto precedente, s’ipotizza settecentesco. È strano però, guardando con attenzione quello che è un vero e proprio reticolo come di vasche e piccole cisterne d’acqua e canalette di scolo, c’è pure un pozzo nero quadrato, l’immaginazione corre verso ipotesi particolari: una fabbrica di pellame? una stazione di posta con le stalle? Sono soltanto degli “azzardi”, è ancora molto presto per dirlo. C’è anche una piccola orzione di pavimento in cotto, sono mattonelle esagonali ben conservate, ma è evidente che in un passato non molto lontano, saranno stati gli anni 70, tutto è stato danneggiato e distrutto per edificare e “nascondere”, magari inglobando i ritrovamenti nelle strutture nuove da erigere. Ieri nel cantiere c’erano come sempre in questi giorni l’archeologa Gabriella Tigano, che dirige l’Unità operativa della Soprintendenza e ha la supervisione tecnica dello scavo, e l’archeologa Maria Grazia Liseno, che si sta materialmente occupando di procedere con i lavori, su incarico della ditta che deve realizzare il nuovo mercato comunale. E lo sta facendo insieme agli operai messi a disposizione dall’impresa, che sta comunque collaborando pienamente. Nei giorni scorsi ha fatto un sopralluogo anche il soprintendente Orazio Micali, per capire cosa è necessario programmare.
«I lavori sono stati monitorati fin dall’inizio dalla Soprintendenza di Messina – spiega l’archeologa Gabriella Tigano, davanti a uno dei muraglioni venuti alla luce –. Qui ci troviamo in una zona nota soprattutto per la necropoli antica, utilizzata continuativamente dal V secolo a. C. e fino al IV-V secolo d. C.».
Cosa sta emergendo in concreto?
«Dagli scavi stanno emergendo resti di epoca moderna, affiorati subito sotto le pavimentazioni recenti, che sono state smantellate».
E di preciso cosa sono?
«Si tratta dei resti, rasati degli alzati e in gran parte intaccati dai lavori degli anni Settanta, di un isolato che occupa la metà sud del cantiere. Nonostante i danni provocati dall’impianto del vecchio mercato risalente agli anni Settanta, lo scavo ha evidenziato una situazione pluristratificata di strutture anche piuttosto consistenti, ancorché in fondazione, con quote di affioramento differenti. L’elemento più recente è senza dubbio una pavimentazione ad acciottolato della quale restano pochi lembi, sicuramente pertinente ad una corte a cielo aperto. Sotto questa pavimentazione transitava una canaletta in mattoni voltata che confluiva in un grande collettore, sempre voltato parallelo alla via Cesare Battisti».
Sono stati trovati altri reperti?
«Sì, nella stessa area si segnalano una serie di vasche di varie dimensioni e tre cisterne affiancate, la cui specifica destinazione resta ancora da chiarire, in assenza di altre evidenze».
Cosa si aspetta di scoprire ancora?
«Stiamo monitorando, e anche preparando tutta la documentazione di rito. Ci auguriamo che, vista la peculiare posizione topografica del cantiere, le indagini possano offrire dati anche sulle epoche più antiche: resta infatti un problema aperto se la necropoli si spingesse fino al limite del torrente. Anche un dato negativo potrebbe essere utile».
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