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Mafia, la riorganizzazione della "cupola" di Barcellona: 33 condanne e 250 anni di carcere LE MOTIVAZIONI

La condanna più alta, 20 anni, è stata inflitta ai boss Carmelo Vito Foti, Mariano Foti e Maurizio Giacomo Sottile.

In assenza dei boss storici, tutti da tempo al 41 bis, erano emersi a Barcellona Pozzo di Gotto in un determinato momento storico, siamo tra il 2017 e il 2019, i personaggi che un tempo erano solo in secondo piano. Ed erano però riusciti a riattivare i circuiti mafiosi, espandendosi a settori nuovi come il bonus edilizio, oppure recuperando le vecchie “passioni”, come la gestione dei guadagni sulla prostituzione.
C’è tutto questo nelle 450 pagine di motivazioni che il gup Simona Finocchiaro ha depositato in questi giorni, per spiegare le ragioni della sentenza che ha deciso a febbraio scorso su nuovi capi e gregari di Cosa nostra barcellonese, che si concluse con 33 condanne per circa 250 anni di carcere e 6 assoluzioni. Furono anche accordati parecchi risarcimenti alle associazioni antimafia e antiracket che si costituirono parte civile.
Un processo scaturito dall’indagine dei carabinieri sulla riorganizzazione della famiglia mafiosa barcellonese, coordinata dal procuratore aggiunto Vito Di Giorgio e dai sostituti della Dda Fabrizio Monaco ed Antonella Fradà. La sentenza emessa a febbraio dal gup Finocchiaro riguardò il troncone degli imputati che avevano scelto il rito abbreviato.
La condanna più alta, 20 anni, fu inflitta ai boss Carmelo Vito Foti e Mariano Foti e a Maurizio Giacomo Sottile. I tre usciti dal carcere tentarono di ricostituire Cosa nostra barcellonese dedicandosi soprattutto al business delle estorsioni ma anche allo spaccio di droga. Fra le condanne più alte 13 anni e 4 mesi inflitti ad Antonino Crea, 12 anni e 2 mesi ad Antonino Mazzeo e 10 anni e 10 mesi ad Antonino Falcone. Ecco quindi alcuni spunti delle motivazioni.

Il triumvirato

Foti-Imbesi-Foti Come già detto - scrive il gup su questo punto -, le indagini svolte nel presente procedimento hanno consentito di appurare come, grazie all'attività di intermediazione svolta da De Pasquale Rosario (è deceduto), il quale era riuscito a fare “parlare tra loro” Foti Mariano, Imbesi Ottavio (è deceduto) e Foti Carmelo Vito (come detto, i tre soggetti di maggior spessore criminale presenti sul territorio), siano state pianificate da parte degli appartenenti al sodalizio in esame una serie di attività illecite sul territorio: dalle estorsioni, alla spaccio di droga, i cui proventi venivano utilizzati anche per il mantenimento dei sodali detenuti, istituendo - per le estorsioni - una “cassa” comune. Le conversazioni intercettate hanno inoltre consentito di appurare come nel corso di alcune riunioni, i maggiorenti, mettendo da parte le loro iniziali divergenze, avessero raggiunto l’accordo di gestire congiuntamente tutte le estorsioni, così come avveniva in passato, e fossero convenuti sulla necessità di sottoporre nuovamente ad estorsione tutti quegli imprenditori che avevano sempre pagato il “pizzo” all’organizzazione mafiosa.

La cassa comune

Già nell’ambito del procedimento “Gotha 7” - scrive poi il gup -, era emersa la sottoposizione ad estorsione di numerose imprese da parte della famiglia mafiosa barcellonese. In conseguenza delle varie iniziative giudiziarie si era venuto a creare un vuoto nella famiglia barcellonese, che aveva avuto ripercussioni anche nel settore delle estorsioni, da cui alla famiglia proveniva un considerevole flusso di denaro da utilizzare anche per provvedere al sostentamento dei vertici dell’organizzazione che si trovavano in stato di detenzione, tra i quali Rao Giovanni, Di Salvo Salvatore detto “Sam” e Calderone Antonino detto “Caiella”.

Il ritorno di Foti

Ebbene - prosegue il gup - , l'attività d’indagine disposta nell’ambito del presente procedimento ha dimostrato che, una volta scarcerato in data 4 dicembre 2018, Foti Carmelo Vito (successivamente arrestato in data 28 febbraio 2020 nell’ambito dell’operazione “Dinastia”, e posto ai domiciliari presso la sua abitazione in data 28 marzo 2020), e l’altro maggiorente del gruppo, Foti Mariano, si prodigavano per riprendere il controllo delle imprese sottoposte ad estorsione. I predetti, infatti, pur sottoposti alla misura cautelare degli arresti domiciliari, avendo la possibilità di muoversi e relazionarsi tra loro, dopo vari contrasti concordavano una gestione collettiva delle attività estorsive, con il ritorno alla “cassa comune”, da prelevare nelle festività di Pasqua, Natale e Ferragosto (come storicamente avvenuto nel passato).

Lo scambio elettorale politico-mafioso

Il gup ritiene che su questo punto sia stata raggiunta la prova a carico di Mariano Foti. E scrive che i fatti ora descritti configurano il delitto ipotizzato di scambio elettorale politico-mafioso, di cui all’art. 416 ter c.p., di cui sussistono tutti gli elementi costitutivi. Va innanzitutto ritenuta la piena utilizzabilità anche per il delitto di cui all’art. 416 ter c.p. dei risultati delle intercettazioni, disposte nell’ambito del presente procedimento, tra l’altro, per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p.. E dopo un’accurata disamina della normativa di settore scrive su questo punto che non appare rilevante il fatto che Carmelo Caliri, all’esito delle consultazioni, non verrà eletto, risultando in ogni caso un consistente numero di preferenze. Ancora, il reato di cui all’art. 416 ter c.p. è di pericolo, pertanto, per l’integrazione, è sufficiente che nell’accordo concernente lo scambio tra voto e denaro (o altra utilità), la persona che si impegna a reclutare i suffragi sia in grado di esercitare un condizionamento diffuso, fondato sulla sopraffazione e le cui indicazioni di voto siano percepite all’esterno come provenienti da un sodalizio mafioso. Ciò è certamente avvenuto - afferma il gup -, nel caso in esame, considerato che le indicazioni di voto sono state esercitate da Foti Mariano, personaggio di elevatissimo spessore criminale nel territorio barcellonese. E invero, la circostanza di rivolgersi per sostegno elettorale, in un territorio ad alta densità mafiosa quale quello barcellonese, ad un soggetto ristretto agli arresti domiciliari, può trovare spiegazione solo nella piena consapevolezza, da parte di Caranna e Calderone, dell’influenza sul territorio che tale soggetto poteva avere in quanto esponente mafioso. Anzi - prosegue il gup -, deve ritenersi dimostrato che i due si siano rivolti al mafioso in quanto timorosi di una possibile sconfitta alle elezioni e nella consapevolezza di potere ottenere una “spintarella” grazie alla forza di intimidazione e al controllo del territorio che l’associazione mafiosa dei barcellonesi, della quale Foti é storico esponente, era in grado di esprimere.

 

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