Se a Messina ormai da anni la droga scorre a fiumi e s'impasta nelle case “dedicate” ad ogni ora del giorno e della notte, e ora si vende perfino davanti alle scuole medie, Mangialupi si dimostra ancora una volta la capitale indiscussa dello spaccio in città, di generazione in generazione. E se i nomi grossi degli Aspri e dei Trovato sono in carcere da anni e forse hanno perso un po' i contatti ecco entrare in scena la generazione degli anni '90, i trentenni di oggi, che scendevano perfino nei dintorni di Palazzo Palano a Provinciale per distribuire le “caramelle” a tutti.
C'erano pure le donne del gruppo, Mary e Rosa, che scalpitavano e volevano far carriera e gestire in prima persona il business quando i mariti o i compagni erano “dentro”. In via Luigi Bordonaro, a Mangialupi. A quanto pare era lì il movimento principale della roba da smerciare, e c'era poi la zona di Gazzi interessata, punte geografiche di un traffico gestito dalle famiglie Mazza-Ubertalli. I fornitori erano sempre i soliti calabresi.
Tutto questo movimento che fruttava migliaia di euro - li “muravano” perfino nelle pareti i guadagni - è stato smantellato dall'operazione gestita dalla Procura di Messina retta da Maurizio de Lucia e dalla Squadra mobile, che stanotte ha portato a 21 ordini di custodia cautelare siglati dal gip Simona Finocchiaro, 15 persone in carcere e 6 ai domiciliari. Una 22esima persona è ancora ricercata. Al vertice del gruppo secondo l'accusa i fratelli Lucio e Daniele Mazza con Lorenzo Ubertalli, poi a cascata tutta una serie di compartecipi con vari ruoli.
Ha scritto tra l'altro il gip Simona Finocchiaro nella sua maxi ordinanza di custodia cautelare che “... le risultanze investigative passate in rassegna consentono di formulare un giudizio di qualificata probabilità che gli indagati abbiano compiuto le condotte loro rispettivamente contestate e di ritenere corretta la qualificazione giuridica dei fatti”. Ed ancora che “...le complessive emergenze probatorie hanno messo in evidenza l'operatività, per un significativo arco di tempo, di un'articolata associazione finalizzata al narcotraffico, avente la disponibilità di armi e in collegamento anche con altre realtà territoriali”. Il gip parla poi di “allarmante gravità delle condotte” e accenna alla “disponibilità di armi in capo all'associazione”, mentre per alcuni degli indagati parla di “... una non comune spregiudicatezza e un'irrefrenabile indole violenta”. Il gip poi amaramente constata che sostanzialmente... sapevano fare solo quello, e scrive “...dell'attività di spaccio come unica, redditizia, fonte di reddito, in sostanziale assenza di altre attività lecitamente svolte”.
Le indagini hanno avuto origine dalle rivelazioni di alcuni soggetti che, sul finire del 2018, avevano fornito generiche indicazioni su una centrale di spaccio attiva nel rione “Gazzi”. Le successive indagini, supportate da servizi tecnici e attività dirette sul territorio, hanno messo in luce l’esistenza di due distinte cellule criminali: una più ristretta, operante in Calabria ed impegnata nel rifornire l’altra, più articolata e capillare, che immetteva sul mercato della città metropolitana di Messina, ed in alcune località della provincia, rilevanti partite di cocaina. L’organizzazione messinese era composta da più di 10 persone appartenenti a due nuclei familiari, fra loro legati, cui facevano poi riferimento numerosi altri soggetti impegnati nello spaccio minuto di droga, soprattutto nei quartieri cittadini di “Gazzi” e “Mangialupi”.
Il “ciclo della droga” era curato in ogni dettaglio: la sostanza veniva occultata in luoghi di custodia esterni alle abitazioni - tombini, canalette di scolo, autovetture abbandonate, anfratti dei muri – e lì ricollocata dopo le cessioni; le donne fungevano sovente da vedette a tutela degli “addetti” alle forniture, che si alternavano secondo un consolidato ed efficiente modello organizzativo composto da figure versatili e legate tra loro da vincoli di parentela. Più di tremila cessioni per un giro d’affari quantificato in 50.000 euro mensili circa. Numerosi sono stati i casi in cui gli investigatori dell’Antidroga sono intervenuti in flagranza per intercettare lo stupefacente; in altre occasioni, invece, sono state rinvenute e sequestrate armi e munizioni, ben conservate e perfettamente funzionanti, nella disponibilità del gruppo.
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