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Buon 2022 a Messina e alle sue tante città invisibili FOTO

Non sono le cose o le classifiche sulla qualità della vita che alla fine contano, è il progetto che si vuole perseguire, l’identità che ancora manca, il coraggio di imboccare una strada senza voltarsi indietro

«Che cosa è oggi la città, per noi? Penso d’aver scritto qualcosa come un ultimo poema d’amore alle città, nel momento in cui diventa sempre più difficile viverle come città. Forse stiamo avvicinandoci a un momento di crisi della vita urbana e “Le città invisibili” sono un sogno che nasce dal cuore delle città invivibili...». Lo scriveva il grande Italo Calvino, in uno dei suoi capolavori, edito nel novembre 1972 e intitolato appunto “Le città invisibili”.

Prendendo spunto dal suo “sogno” – il racconto immaginifico di città irreali da parte di Marco Polo ospite del Kublai Kan –, abbiamo provato a viaggiare, con le parole dello scrittore, nelle tante “città invisibili” che rappresentano i mille volti di una Messina sospesa tra vecchio e nuovo anno, eternamente in bilico tra un passato che non torna e un futuro sempre di là da venire, non ancora consapevole che, in fondo, quello che conta è il “qui e ora”. Questo viaggio è un collage di descrizioni delle città invisibili di Calvino adattate ai luoghi, ai momenti, alle angosce, alle paure e alle speranze della nostra comunità, nell’ultimo giorno dell’Anno Domini 2021...

«Partendosi di là e andando tre giornate verso levante, l’uomo si trova a Diomira... Tutte queste bellezze il viaggiatore già conosce per averle viste anche in altre città. Ma la proprietà di questa è che chi vi arriva una sera di settembre, quando le giornate s’accorciano e le lampade multicolori si accendono tutte insieme sulle porte delle friggitorie, e da una terrazza una voce di donna grida: uh!, gli viene da invidiare quelli che ora pensano d’aver già vissuto una sera uguale a questa e d’essere stati felici».

E subito pensi all’autunno trascorso, a quelle giornate di settembre dal cielo limpidissimo, agli odori dello Stretto e dei localini tornati a riempirsi dopo il lockdown dell’anno precedente. Pensi che qui si può essere felici, anche se forse per una sera soltanto...

«Isidora, città dove i palazzi hanno scale a chiocciola incrostate di chiocciole marine... Isidora, dunque, è la città dei suoi sogni, con una differenza. La città sognata conteneva lui giovane, a Isidora arriva in tarda età... I desideri sono già ricordi».

È la sensazione provata da molti di noi, da chi è partito, da chi vi fa ritorno, alla Isidora di Messina, di chi vive forte quel sentimento di “saudade” che trasforma ogni desiderio in un ricordo.

«Di quest’onda che rifluisce dai ricordi la città s’imbeve come una spugna. Una descrizione di Zaira quale è oggi dovrebbe contenere tutto il passato di Zaira. Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole».

Non c’è città più di Messina, gemella di Zaira, a contenere tutto il suo passato e a non dirlo, a lasciarlo solo immaginare nei “graffi”, negli “intagli”, nelle sue ferite, negli squarci di memoria che ogni tanto si cerca di ravvivare. E queste parole potrebbero essere stampate dovunque, tra i ruderi della Real Cittadella, sulla collina di Castel Gonzaga, tra gli scavi di largo San Giacomo, sulla spianata del Museo, sulle facciate dei palazzi Liberty....

«A chi si trova un mattino in mezzo ad Anastasia i desideri si risvegliano tutti insieme e ti circondano. La città ti appare come un tutto in cui nessun desiderio va perduto e di cui tu fai parte, e poiché essa gode tutto quello che tu non godi, a te non resta che abitare questo desiderio ed esserne contento. Tale potere, che ora dicono maligno ora benigno, ha Anastasia, città ingannatrice...».

E forse è questo l’aggettivo più appropriato: Messina-Anastasia, città ingannatrice. La vedi dall’alto, sirena meravigliosa che incanta ogni Ulisse che passa da qui, ma poi ti accorgi che è un inganno, come la magnificenza esterna di un palazzo nobiliare all’interno tutto pieno di crepe. Lo sappiamo tutti che è un inganno, ma forse dovremmo lasciare che Lei goda di quel desiderio di cui noi facciamo parte e che non riusciamo, quasi mai, a vivere e apprezzare....

«Come veramente sia la città sotto questo fitto involucro di segni, cosa contenga o nasconda, l’uomo esce da Tamara senza averlo saputo. Forse s’estende la terra vuota fino all’orizzonte, s’apre il cielo dove corrono le nuvole...».
È l’impressione di tanti turisti che escono da Messina-Tamara: la terra, lo Stretto, l’orizzonte, il cielo e le nuvole, ma cosa sia veramente la città sotto quell’involucro, nessuno sa dirlo. Oppure, sono solo luoghi comuni... e classifiche da ultimi posti nella qualità della vita.

«Zora, città che chi l’ha vista una volta non la può più dimenticare...Ma inutilmente mi sono messo in viaggio per visitarla: obbligata a restare immobile e uguale a se stessa per essere meglio ricordata, Zora languì, si disfece, scomparve...».
E pensi alla Messina che si spopola, alla Messina restia ai cambiamenti, alla Messina dei “no a tutto”, alla Messina che vuol restare immobile e uguale a se stessa, per essere ricordata così com’è, e non capisce che così facendo, continua a languire, a disfarsi, rischiando di scomparire.

«Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone; e così il cammelliere e il marinaio vedono Despina, città di confine tra due deserti». Ogni città ha una battaglia davanti: contro la desertificazione. E non significa voler costruire altre case, sbancare spiagge o colline, ma darsi un progetto, che faccia della “città di confine tra due deserti”, lo snodo cruciale di due realtà vive, il centro del mondo, tra Isola e Continente...

«Le vecchie cartoline non rappresentano Maurilia com’era, ma un’altra città che per caso si chiamava Maurilia...».
È proprio così, la stessa sensazione di quando vedi le vecchie cartoline della Messina pre-terremoto, della Messina ricostruita, della Messina degli anni Cinquanta-Sessanta e ti accorgi che questa città non c’entra più nulla con quella... Ma è “qui e ora” che la devi vivere, e il passato non può essere la gabbia in cui finisci col rinchiuderti per sempre.

«Guardando dentro ogni sfera si vede una città azzurra che è il modello di un’altra Fedora. Sono le forme che la città avrebbe potuto prendere se non fosse, per una ragione o per un’altra, diventata come oggi la vediamo... Metropoli di pietra grigia». La città grigia, la città azzurra. Ecco, se volessimo indicare l’identità di Messina è nel suo colore, l’azzurro dello Stretto, che la invade e la vivifica ogni giorno. Ci abbiamo messo tonnellate di vernice grigia sopra, ma basterebbe un lavoro di scavo, di ripulitura, di de-costruzione (ogni riferimento, ad esempio, al lungomare fieristico è puramente voluto...). E riavremmo la città azzurra.

«È inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere le città ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati».

È il dilemma di Messina-Zenobia: dare forma ai propri desideri o esserne cancellata? Le graduatorie sul vivere urbano hanno stancato, non sono quelle il metro di giudizio, quello che conta è la direzione che si è imboccata, una volta che si è data risposta a quell’interrogativo che, di risposte, continua a non averne.

«Certo anche a Ipazia verrà il giorno in cui il solo mio desiderio sarà partire. So che non dovrò scendere al porto ma salire sul pinnacolo più alto della rocca e aspettare una nave che passi lassù. Ma passerà mai? Non c’è linguaggio senza inganno».

Lo abbiamo provato tutti, quel desiderio. E c’è chi è sceso in porto, chi continua a farlo ogni giorno, e se è andato, e se ne va. Ma ci sono anche quelli che a Messina-Ipazia restano, e quando sentono quel desiderio, salgono in cima alla rocca, a vedere se una nave passerà lassù. E non passerà mai, perché siamo noi quella nave, noi che restiamo...

Ce ne sarebbero tante altre, disegnate in modo impareggiabile dallo scrittore italo-cubano, ma il viaggio nelle “città invisibili” che sono Messina, può anche fermarsi qui. «Anche io ho pensato un modello di città da cui deduco tutte le altre – rispose Marco Polo al Kublai Kan –. È una città fatta solo d’eccezioni, preclusioni, contraddizioni, incongruenze, controsensi. Se una città così è quanto c’è di più improbabile, diminuendo il numero degli elementi abnormi si accrescono le probabilità che la città ci sia veramente». È, in fondo, solo questo che dovremmo fare, nell’anno che sta per cominciare, nei giorni che verranno: eliminare, uno dopo l’altro, gli elementi “abnormi” e rendere vera la città invisibile. La sfida che appare più semplice è sempre quella più impegnativa.

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