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De Lucia: "Repressione alla mafia, guai a cancellare i pilastri attuali"

Dalle misure di repressione e prevenzione fino alle mafie dei giorni nostri e al racconto che ne hanno fatto il cinema e la letteratura. Ha analizzato il fenomeno delle mafie sotto varie sfaccettature e sfumature, anche le più inedite, la seconda giornate convegno: “Mafie tra continuità e mutamento: analisi, esperienze, narrative”.

Un evento organizzato dall’Università nell’ambito del progetto di ricerca MessCa: “Mafia-type organised crime in the Province of Messina” che ha la supervisione del professore Luigi Chiara presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche. Nella prima parte, moderata dal prorettore vicario, Giovanni Moschella, il procuratore Maurizio De Lucia ha parlato degli strumenti di contrasto alla mafia e di quelli che ha definito quattro pilastri: la cattura dei latitanti, l’applicazione del 41 bis, il regime del carcere duro, l’aggressione ai patrimoni mafiosi e la continuità della risposta repressiva dello Stato.

“Nel 1992 – ha detto - molti componenti della cupola di Cosa Nostra erano già stati condannati all’ergastolo ma erano liberi, il primo pilastro è stato investire nella ricerca e nella cattura dei latitanti, infatti tutti i componenti della commissione di allora, tranne uno, sono stati condannati e rintracciati e per essi applicato il 41 bis che è il secondo pilastro. Il terzo pilastro è l’aggressione ai patrimoni mafiosi: due sono le ragioni per cui si diventa mafiosi uno è l’esercizio del potere e poi perché ci si vuole arricchire, ebbene se uno degli scopi dei mafiosi è diventare ricchi la risposta dello Stato non può che essere di impoverire la mafia” infine il quarto pilastro: “la continuità della risposta repressiva dello Stato, cioè la capacità di continuare ad investigare continuamente , ogni indagine non è isolata, si incrocia con altre, questo ci consente di impedire che le organizzazioni crescano in una condizione di impunità”.

“Questo quadro a mio giudizio non può che essere conservato” ha detto il procuratore. “Non sono un conservatore - ha aggiunto - ma quando si parla politiche di repressione del contrasto alla mafia divento fortemente perché sono state poste in essere azioni corrette attraverso strumenti legislativi che possono essere affinati, ma sostanzialmente non devono essere toccati, non deve essere toccato lo strumento del 41 bis e non deve essere toccato il cosiddetto ergastolo ostativo”. Il tema delle misure di prevenzione è stato sviscerato dal giudice Ornella Pastore, presidente della sezione gip del tribunale che ha esaminato gli aspetti tecnici parlando a fondo di misure di prevenzione personali e patrimoniali e degli strumenti alternativi alla confisca e la particolare attenzione della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale ad un tema delicato come questo.

Puntuale anche la relazione del prefetto Cosima Di Stani che ha parlato delle interdittive antimafia e dell’esperienza della prefettura di Messina “Il tema – ha detto - è di particolare attualità anche se sono passati anni dalla legislazione, il nostro Paese è il primo al mondo ad avere queste leggi. E’ una lotta continua perché le mafie trovano sempre spazi nuovi, l’insegnamento di fondo ha radici nel metodo Falcone che è quello di inseguire il denaro”. Il prefetto ha poi parlato dell’esperienza messinese per i protocolli di legalità, infine ha richiamato tutti alla massima attenzione in vista delle risorse ingenti in arrivo con il Pnrr: “Dobbiamo rafforzare l’azione di contrasto badando tanto agli appalti grandi quanto a quelli meno rilevanti ma altrettanto appetibili dalle mafie” ha detto. Il primo Panel (cosi come sono state divise le sessioni del convegno) è stato concluso da Marco Del Gaudio, sostituto procuratore nazionale antimafia che ha parlato dell’evoluzione del metodo mafioso. La terza parte del convengo, moderata dal procuratore di Barcellona PG Emanuele Crescenti, è stata aperta dalle relazioni di Gabriella Gribaudi e Luciano Brancaccio entrambi dell’università di Napoli che hanno aperto una finestra sulla realtà della camorra. Ha parlato invece di come viene raccontata la mafia sui social network Marcello Ravveduto dell’università di Salerno che ha evidenziato il significato di simboli, magliette, tatuaggi. Sul ruolo delle donne nella mafia andando oltre la dicotomia di vittima o boss al femminile è intervenuta Ombretta Ingrascì dell’università di Milano. L’ultima parte del convegno ha raccontato le mafie di oggi.

A moderare l’incontro il giornalista di Gazzetta del Sud Nuccio Anselmo: “La verità - ha detto - è che nella città di Messina c’è stata una forte sottovalutazione del fenomeno mafioso a cavallo degli anni ‘70 e ‘80, questo ha provocato un ispessimento della cornice mafiosa permettendo alle mafie della fascia tirrenica, ionica e dei Nebrodi di associarsi con i gruppi mafiosi palermitani, catanesi e calabresi”. “Se si vanno a leggere le analisi tecniche della seconda metà degli anni Sessanta- ha aggiunto Anselmo nella sua analisi - la totalità degli osservatori riteneva la Sicilia orientale non fosse assoggettabile al fenomeno mafioso oggi possiamo dire che fu un errore clamoroso”. Solo negli anni Ottanta infatti con i maxi processi qualcosa cambia: “il primo maxi processo a Messina è del 1986 e tutta la città si accorge che la mafia esiste”.

Dopo aver raccontato del maxi processi e della sentenza “definita da molti scandalosa in quanto dei 245 imputati solo 65 furono condannati e ben 163 assolti per non aver commesso fatto e 17 per insufficienza di prove. Furono inflitti circa 400 anni di carcere rispetto ai 1020 richieste dall’accusa”, Anselmo è tornato a parlare della sottovalutazione del fenomeno mafioso a Messina “tutti parlano di una visione Palermo centrica delle mafie eppure a Messina dal 1986 al 1992 si registra un crescendo di omicidi ma all’epoca nessuno se ne accorge, nessuno li studia, un’altra sacca mafiosa è quella di Barcellona dove ci sono stati processi che hanno raccontato di circa 120 omicidi nello scontro tra il clan ma anche lì non all’epoca c’è stata quella attenzione che sarebbe stata utile per capire prima il fenomeno”. Emiliano Morreale dell’università La Sapienza e Robin Pickering Iazzi dell’università del Wisconsin hanno invece parlato di come la mafia è raccontata dal cinema e dalla letteratura. Sul ruolo del giornalismo si è soffermata Clare Longrigg deputy editor del The Guardian: “il crimine organizzato cresce nel silenzio e il giornalismo è un’arma importante per rompere questo muro”. Ha concluso i lavori il sostituto procuratore Andrea Apollonio che ha parlato della sacra corona unita, un sodalizio con una struttura che si è rivelata fragile e che alla fine si è sfaldata diventando “una mafia estinta”. Ha raccontato un particolare aneddoto che gli era capitato durante le ricerche per il libro sulla storia della sacra corona unita. “Ho intervistato giornalisti e magistrati, tra questi anche Alberto Maritati, sottosegretario della giustizia, colui che ha scoperto la sacra corona unita nelle carceri baresi nel 1983, mi ha detto che nel 1985, durante il primo maxi processo ai capi storici a Bari, si era trovato a raccontare questo tipo di fenomeno al giudice Giovanni Falcone”. “Ecco – ha concluso Apollonio - dal momento che proprio Falcone ha detto che la mafia è un fenomeno che un inizio e una fine a me piace pensare che forse lui ci aveva già visto i segnali di criticità che hanno portato allo sfaldamento di quella mafia”.

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