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"Sono nata nel 1932"... Messina, la Cariddi e il suo delitto perfetto. FOTO DALL'ALTO

«Passa la nave mia colma d'oblio per aspro mare, a mezza notte, il verno, enfra Scilla e Cariddi... morta fra l'onde è la ragion e l'arte: tal ch'incomincio a desperar del porto». Chissà perché, in questa mattina di fine aprile, in bagliori d’azzurro ferito che preannunziano l’estate, torna in mente un’antica lirica, il malinconico viaggio d’amore del grande Poeta, Francesco Petrarca.
Ed è stato un viaggio d’amore quello della nobile gloriosa motonave Cariddi, o al maschile dell’intrepido ed eroico traghetto delle Ferrovie dello Stato: un amore ricambiato da intere generazioni di messinesi. Un amore finito tragicamente, con una dichiarazione di morte attribuita a un presunto “suicidio” che, invece, nascondeva l’omicidio perpetrato ai danni di quel “Ferry boat” che aveva fatto la storia dello Stretto.

Dall’alto, la Cariddi sembra una balena spiaggiata. E sono ormai 15 anni che è lì, a volte quasi del tutto invisibile, a volte ritratta come in uno sforzo titanico di risalire a galla, per urlare al mondo intero, «avete visto, sono affondata due volte nella mia vita, ma sono ancora qui. Sono la vostra coscienza sporca». Noi la vediamo come un inutile relitto, quasi alla foce del torrente Giostra, mentre lei immagina d’essere ancora la regina della flotta Fs, pronta dopo decenni di onorato servizio ad ospitare il Museo del Mare. Era stata acquistata dall’ex Provincia regionale proprio per tale finalità, è diventata, suo malgrado, l’emblema dello spreco di risorse pubbliche.

«Sono nata nel 1932», è come se ci parlasse ancora, ci raccontasse la sua storia, i tanti “prima” e il tristissimo “dopo”. «Fui costruita nei Cantieri di Trieste, all’epoca mi definirono modernissima perché avevo un sistema di propulsione definito “elettro-diesel”. Ho navigato tra Sicilia e Calabria fino al 16 agosto 1943, quando mi lasciai affondare». In quel caso, andare a fondo fu la sua salvezza; recuperata dopo la seconda Guerra mondiale, fu radicalmente ristrutturata, le fu allungato lo scafo, le venne aggiunto un quarto binario per aumentarne la capacità di trasporto. «E ripresi a fare quello per cui ero imbattibile, la spola tra le due sponde del mare più suggestivo d’Italia», sembra sussurrarci con la voce rotta dalla commozione.
Un viaggio d’amore, come quello del Petrarca. Sembrava non dovesse finire, anche se nel 1990 il traghetto venne definitivamente alienato e nel 1992 fu acquistato dall’Amministrazione di Palazzo dei leoni con l’obiettivo di farne un prestigioso Museo galleggiante.

La sua (costosissima) agonia durò 14 anni: «Il 14 marzo mi fecero fare la fine di Socrate, mi obbligarono a prendere la “cicuta”, mi hanno staccato la spina dalla bombola d’ossigeno e hanno detto che ero affondata...». Costava troppo la sua manutenzione, non sapevano che farne. E fu commesso così il delitto perfetto. Ma lei oggi è ancora lì, e ci racconta la sua storia. «Morta fra l’onde è la ragion e l’arte...».

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