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Fonte di Orione a Messina, volete muovervi o la lasciamo così?

«Il modo scandaloso di fare informazione è sempre lo stesso: prima ti screditano propinando notizie false o incomplete. Poi se fai la rettifica, neanche la pubblicano». A scrivere queste righe, nei giorni scorsi, è stata l’assessore comunale con delega alle fontane e all’arredo urbano, commentando il reportage della Gazzetta del Sud sull’agonia del Fonte di Orione.

Di fronte a immagini così eloquenti, quali rettifiche possono essere motivate? Bisogna solo agire e salvare dalla morte e distruzione il monumento tra i più preziosi di Messina e dell’intera Sicilia, quella che lo storico d’arte Bernard Berenson ha etichettato come “la più bella fontana del Cinquecento europeo”.

Si scrivono certe cose non perché uno ce l’abbia con qualcuno, ma perché ci passiamo tutti da piazza Duomo, perché sono migliaia i turisti che vi transitano ogni giorno e scattano foto alla fontana, al Campanile, alla Cattedrale. Perché le condizioni di Orione non erano forse mai state così drammatiche come adesso. Perché è insopportabile che non ci sia qualcuno che la mattina vada a togliere le erbacce dalle vasche. E non parliamo dell’acqua, la vedremo zampillare, in questa come in tutte le altre fontane cittadine... nei prossimi secoli.

Siamo costretti a ricordare cos’è Orione per noi messinesi. È come, anzi più che la fontana di piazza Navona a Roma.

È un gioiello, un simbolo, un concentrato di significati mitici e alchemici o più semplicemente il capolavoro di uno degli allievi prediletti di Michelangelo Buonarroti. Giovan Angelo Montorsoli (1507-1563) venne dalla Toscana per realizzare quest’opera, commissionata dal Senato messinese, che intendeva celebrare così un avvenimento allora considerato eccezionale per la città: la costruzione del primo acquedotto, iniziato nel 1530 e ultimato nel 1547 su progetto dell’architetto Francesco La Camiola. Un acquedotto che captava le acque delle fiumare Camaro e Bordonaro.

Perché Orione? Chi era costui? Nella mitologia greca, e poi in quella romana, era un Gigante. Secondo i Greci, era figlio di Poseidone e della figlia di Minosse, Euriale. Secondo i Romani, sarebbe stato generato dall’urina (ecco perché il nome “Urion”) di Giove, Nettuno e Mercurio e per questo i romani lo chiamavano anche “Tripater”. Fu Diodoro siculo ad attribuire a questo gigante, che era bellissimo e ministro del culto della dea Diana, la progettazione e la costruzione della città di Zancle. Oltre a Mata e Grifone, dunque, sarebbe stato Orione uno dei mitici fondatori della nostra città. E anche Esiodo cita Orione, legando la sua opera di costruttore e quasi di nume tutelare della città sullo Stretto, di Capo Peloro, dove il Gigante avrebbe realizzato anche un tempio dedicato a Nettuno. Montorsoli, con l’aiuto di Francesco Maurolico, concepì il complesso gruppo scultoreo, esaltazione dei Fiumi (Nilo, Tevere ed Ebro, assieme al Camaro) e libro aperto con soggetti tratti dalle “Metamorfosi” di Ovidio, tra i quali Atteone, Narciso, Europa rapita da Giove, Pegaso, Icaro, E poi quattro tritoni, le teste idrofore di Medusa, quattro Naiadi, quattro puttini a cavallo di delfini. In alto c’è lui, con lo scudo riportante lo stemma di Zancle-Messana, e con ai suoi piedi il fedele cane Sirio. Ha solo sbagliato città, Orione. Un Gigante in una città di... nani.

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