Muore la comunità che non sa essere solidale, che non sa stare dalla parte dei più deboli, che non riesce a superare i confini dell’egoismo individuale e dell’interesse particolare. E una città che continua ad avvitarsi nelle sue emergenze, senza coglierne l’aspetto più autentico (c’è una persona che soffre dietro ogni dramma, dietro ogni posto di lavoro che si perde, dietro ogni servizio interrotto, dietro ogni prestazione d’assistenza negata), è destinata a un declino irreversibile. Sono parole forti, quelle che risuonano in una piazza Duomo stracolma, durante il rito della benedizione delle Palme. L’arcivescovo Calogero La Piana fa riferimento al brano evangelico che apre la Settimana Santa e si sofferma sui temi che caratterizzano l’Anno Pastorale, la necessità di dar vita ad «alleanze educative», a «ripartire dalle famiglie», a riscoprire i valori più profondi della condivisione e della carità cristiana. Ma nel suo invito pressante ai messinesi, perché ciascuno si faccia carico dell’altro, perché nessuno sia lasciato al proprio destino, si legge con chiarezza l’aggancio alle cronache degli ultimi giorni, alla vicenda drammatica dei servizi sociali sospesi dal Comune. Mons. La Piana non ha ricette politico-amministrative ma indica un orizzonte, la Croce sul Golgota, che può apparire come il simbolo della rassegnazione e della disperazione, ed è invece l’esatto contrario, strumento di redenzione. E nell’immagine del Cireneo, il «cittadino comune», l’uomo preso dalla strada per condividere un tratto della “via Crucis”, accollandosi il peso del dolore di un uomo che neppure conosce, vi è anche il ritratto della Messina di oggi, di una città che ha toccato il fondo e che ha bisogno di qualcuno che l’aiuti a risollevarsi. La Domenica delle Palme è sempre stata un’occasione speciale, il palco dal quale il Pastore della Chiesa messinese lancia un messaggio non solo alla comunità dei fedeli, ma a tutti gli enti e istituzioni, a chi detiene le leve del comando, a chi ha la responsabilità delle scelte che poi ricadono sulla vita di ciascuno. Ricordiamo negli anni dell’arcivescovo Giovanni Marra i pressanti appelli in favore di quella parte di popolazione che vive in baracca o in costruzioni fatiscenti, interi quartieri ostaggio del degrado (e della criminalità organizzata). E poi, quando si è insediato mons. La Piana, l’attenzione alle vertenze lavoro, alla disperazione dei cassintegrati, all’angoscia dei precari, alle inquietudini dei giovani senza prospettive. Un’attenzione che non è mai calata negli anni: pensiamo, ad esempio, all’ultimo toccante incontro avuto dall’arcivescovo con i lavoratori dell’ex Birra Messina sotto un tendone di fortuna allestito davanti allo stabilimento chiuso della Triscele. La questione del “welfare” cittadino coinvolge laici e cattolici. In una fase economica così drammatica, il primo avamposto di solidarietà è quello della Caritas e delle associazioni di volontariato. La crisi ha polverizzato i bilanci familiari, la fascia di coloro che si avvicinano alle Mense per poter avere un pasto caldo si amplia molto al di là della categoria dei “poveri”, così come la si immaginava fino a qualche tempo fa. Oggi tutti, più o meno, si è coinvolti in questo processo di radicale ripensamento del senso stesso di comunità, dove riacquistano valore le cose più importanti e altre vengono ridimensionate. Ma la risposta ai problemi che assillano soprattutto le persone più svantaggiate dal punto di vista personale, familiare e sociale non può essere affidata alla “buona volontà” di pochi. Deve essere una risposta “di sistema”. Ecco, dunque, che le parole dell’arcivescovo La Piana arrivano dritte alla coscienza di politici, amministratori e cittadini comuni, di chi sta guidando Palazzo Zanca in questa tormentatissima fase di transizione, di chi ha gestito il mondo delle cooperative sociali, di chi vi lavora, di chi fa sindacato. Ma è la voce degli “esclusi” quella che più di ogni altra si leva dalla piazza, a spezzare l’assordante silenzio di chi ancora pensa che i drammi degli altri non lo riguardano.
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