Il 7 febbraio di ogni anno è la giornata dei “calzini spaiati”, occasione, ma soprattutto opportunità per riflettere sulle differenze che ci circondano e celebrare l’unicità di ciascuno. Una giornata che a Milazzo viene vissuta evidenziando le diverse storie di inclusione che si è riusciti a portare avanti grazie alla preziosa sinergia tra l’associazionismo e le Istituzioni. Tante storie da raccontare, come quella di Korka Barry, originario della Costa d’Avorio, giunto dopo tante traversie nella città del Capo, dove oggi lavora come mediatore culturale. Korka ha appena 24 anni, ma una lunga storia alle spalle. Fuggito dalla casa dei nonni in Guinea, dove era stato portato dai genitori a causa della guerra, per raggiungere la Sicilia impiegò un anno e mezzo, un periodo in cui la sua vita è stata caratterizzata da continui cambi di città, prigionia, botte, fame, abbandono, condizioni di vita al limite del pensabile e sei giorni passati nel deserto senza sapere se mai sarebbe arrivato a prendere l’ultimo barcone per la Sicilia. Alla fine, nel 2018, è arrivato a Messina e poi a Milazzo, dove ha trovato una cooperativa che gli ha aperto le porte per la svolta. « Ho iniziato subito a studiare la lingua appena giunto nel centro accoglienza di Messina – racconta –: gli operatori hanno colto la mia passione per i libri e ho frequentato le scuole riuscendo a diplomarmi con ottimi voti. Mi sono iscritto all’Università e ora spero di laurearmi presto. Perché voglio fare ancora di più, sono ambizioso e desideroso di inserirmi meglio». Sul futuro non si sbilancia. «Un domani vorrei tornare in Guinea, lo devo ai miei genitori. Ma vedremo...». Poi spazio a una considerazione. «Ci sono tante cose che non vanno ancora bene nell’accoglienza dei migranti, ma la mia fede mi ha fatto trovare persone che hanno creduto in me». Da Barry ai ragazzi dell’Aipd (Associazione italiana persone Down) di Milazzo, altro straordinario esempio di integrazione e inclusione. Loro sono Michele Galati, Emanuele Minutoli, Samuel Patti, tre ragazzi con la sindrome di Down, che si sono aperti al mondo esterno cercando di trovare la propria autonomia. Con il supporto del presidente dell’associazione Aipd Roberto Caizzone e degli operatori Gessica Lentini e Sebastiano Di Francesco, hanno intrapreso un percorso che da piccoli li ha condotti fino all’età adulta a prendere consapevolezza che loro quel cromosoma in più potevano usarlo bene, per farsi spazio nella società. E vivere. «Voglio lavorare, voglio capire cosa è il lavoro, stare a contatto con la gente e con i colleghi», afferma Michele Galati, che ricorda quando assieme agli operatori ha stilato il suo curriculum. Poi il colloquio e l’avvio del tirocinio come repartista in un negozio della grande distribuzione. «Vorrei che tutti mi guardassero normalmente. Io posso fare le stesse cose che fanno gli altri e voglio dimostrarlo», aggiunge. Più lunga invece l’esperienza di Emanuele Minutoli all’interno di un’azienda milazzese come addetto alla mensa. Preciso, sempre presente, cercando di superare le giornate no, ha scelto dopo un anno di interrompere questa strada: «Mi piace fare altro, sento di aver provato una bella esperienza in un posto in cui mi sono sentito accettato e valorizzato ma adesso voglio fare altro». Samuel Patti ha fatto della ristorazione la sua occupazione ormai da circa quattro anni, è felice del consenso del suo datore di lavoro e di quello dei clienti che lo definiscono sempre educato, professionale e accogliente. «Ho trovato il mio posto, mi sento indipendente, vado a lavoro a piedi e da solo perché è vicino casa. Mi piace stare in mezzo alla gente e sono certo che non cambierò idea».