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Il doppio Dna di Ahmed Ivoriano e peloritano

Mohamed Khaledo Yeo, per tutti Ahmed, è ivoriano. È un gigante fuori e dentro. Ha 34 anni, ed è un ragazzo diventato uomo troppo presto. Guerra e miseria lo hanno segnato profondamente. E quelle ferite nascoste affiorano nei suoi occhi, che si bagnano di lacrime al solo ricordo del passato, ma si asciugano rapidamente guardandosi intorno. Oggi.

Come tanti suoi amici, anzi “fratelli”, Ahmed è stato costretto ad abbandonare l’Africa. Morire o vivere? Una scelta apparentemente facile, ma rischiosissima. Di fronte alla quale adesso può dire che ne è valsa la pena. Ahmed spesso rivive l’incubo dell’odissea in mare, del viaggio della speranza tramutatasi in certezza. Certezza che fa rima con sicurezza. Perché a Messina ha trovato quell’ancora di salvezza sognata e afferrata. Ad essa si è aggrappato. Da essa è ripartito, costruendo, mattone dopo mattone, un’esistenza a dir poco meritata.
Ahmed è stato ospite di una casa di accoglienza, insieme a tanti altri giovani che come lui ce l’hanno fatta. Si è inserito perfettamente nella città dello Stretto, dove ha trovato occupazione in una ferramenta e in una pizzeria-hamburgeria. Il lavoro come occasione di riscatto, di crescita, di piena integrazione. Senza rinunciare, però, all’amore per il calcio. Sport nel quale è formidabile. Ahmed gioca in una squadra di calcio a 11 e a 5. È una vera e propria mascotte. Benvoluto, coccolato e rispettato da tutti. Anche se parla pochissimo la lingua italiana, prova a rendere il suo francese il più possibile comprensibile agli altri.

E se deve comunicare o recepire qualcosa di importante, usa il traduttore istantaneo. Ahmed tifa Paris Saint Germain e Inter, segue con attenzione le gesta di tutti i calciatori ivoriani in giro per l’Europa. Non solo i protagonisti nel campionato di Serie A, quindi. «Ahmed, chi ti piace?». «N’Dicka, Roma; Kossounou, Atalanta; Kessie, ex Milan», risponde con gioia. «E Drogba?». «Uh, Didier, très fort, le meilleur», aggiunge, con il sorriso che lo illumina e illumina. E quando, un anno fa, la sua Costa d’Avorio ha vinto la Coppa d’Africa in rimonta contro la Nigeria, Ahmed ha festeggiato in grande stile, mostrando l’orgoglio di essere ivoriano, la sua vera identità e le sue origini con uno “stato” su WhatsApp. Da pochi mesi, la sua piena integrazione in quella Sicilia prima conosciuta solo grazie alle cartine geografiche trae ulteriore valore in un alloggio privato condiviso in affitto con un “fratello” africano. La sua autonomia spicca altresì negli spostamenti col monopattino. Il periodo più intimo, per lui, è sempre quello del Ramadan. Da buon musulmano, osserva alla lettera le prescrizioni e le limitazioni imposte. «Ahmed, hai mangiato, hai dormito, come fai a giocare oggi a calcio? Sarai debilitato». La replica è serafica: «Capitano, tranquillo, solo acqua. Prego e bevo. Più tardi preparo riso, ma stanco, stanco, dormito poco». Tornando al lavoro – che lo tiene impegnato per gran parte delle giornate –, è preciso, puntuale, impeccabile. Un modello.

Lontano da casa, sì. Lontano dagli affetti, vero, ma senza mai rinunciare alle telefonate quotidiane con i suoi familiari, con “maman” soprattutto. «Oggi sono caduto col monopattino – racconta in francese alla madre –. Mi hanno investito, ma è tutto ok. Mi hanno aiutato ad alzarmi e hanno visto che per fortuna stavo bene. Qui mi vogliono bene».
Ahmed è messinese. Ahmed è davvero uno di noi.

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